Enrico Rossi
Enrico Rossi
Su Quirinale, governo e sinistra
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Su Quirinale, governo e sinistra

L’elezione del presidente della Repubblica è un passaggio fondamentale. Ma oltre alla giostra dei nomi, dobbiamo capire la fase politica e far valere le ragioni della sinistra.
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Care amiche e cari amici, riprendiamo il nostro appuntamento settimanale.

Il rebus Quirinale - la giostra dei nomi - è l’argomento di gran lunga prevalente nella discussione politica, in questo inizio di nuovo anno.

Lo è, a mio avviso, persino troppo, perché il virus sta mettendo di nuovo in ginocchio il Paese, perché l’inflazione e l’aumento delle bollette dell’energia accrescono le difficoltà dei ceti popolari e perché la precarietà del lavoro diventa sempre più estesa.

A sinistra, a partire da un'infelice battuta di Massimo D’Alema, si è sviluppato un breve dibattito che, come accade da tempo, è stato subito rinviato: ci sarà un congresso nel 2023; per ora c’è l’emergenza e il PD non deve perdere tempo.

E’ un modo di ragionare che non mi convince.

Intanto vi faccio i migliori auguri per il 2022, che sia per tutti un anno di felicità, di salute e di allegria, con la convinzione, che abbiamo, che solo la solidarietà tra gli uomini possa contrastare e vincere le disgrazie, la miseria e la tristezza.

È per questo che continueremo a trovarci qui ogni settimana; infatti, non ci manca la passione.

Palazzo del Quirinale, Roma (Foto Presidenza della Repubblica)

Su Draghi e la corsa al Quirinale

“La mia missione di governo è finita” aveva detto Draghi alla conferenza stampa di fine anno.

“La stagione politica del governo Draghi è finita” ha dettò Giorgetti ieri, dopo che non si è neppure presentato alla riunione del Consiglio dei Ministri.

Più chiaro di così, è inutile ripeterlo.

La Lega si è opposta alle misure doverosamente rigorose contro il Covid proposte da Draghi, costringendolo all’ennesima mediazione.

Scrive Stefano Folli su Repubblica di giovedì in merito alle “mezze decisioni” prese dal governo:

“Nonostante la rabberciata unanimità raggiunta in Consiglio dei Ministri, la giornata di ieri lascerà un segno. Nel senso che la maggioranza di quasi unità nazionale è finita… è venuto meno quel minimo collante reso efficace dalla credibilità del presidente del Consiglio”.

Piero Ignazi su Domani ha proseguito:

“Il governo Draghi è giunto alla fine del suo percorso. L’ultimo Consiglio dei ministri segna una svolta nella vita del governo Draghi. I contrasti all’interno della maggioranza hanno raggiunto un livello mai toccato prima tale da far pensare che l’esecutivo abbia esaurito la sua forza propulsiva.”

A questo punto, a mio avviso, possono aprirsi due scenari.

Il primo, è quello in cui i partiti si accordano per il Quirinale su di un nome che non sia Draghi e rilanciano con un patto nuovo il governo con questa maggioranza fino a fine legislatura.

Il secondo, è che Draghi venga promosso al Quirinale e che si cerchi un nuova maggioranza con una nuova guida.

Il primo scenario è assai improbabile perché è la Lega che non lo vuole, essendo Salvini interessato a tornare all’opposizione e a competere con Fratelli d’Italia per il primato a destra.

Il secondo invece consentirebbe di “salvare il soldato Draghi”, come scrive Ignazi, e di mantenerlo in servizio per 7 anni con la sua autorevolezza, soprattutto nei confronti dell’Europa.

Come ha ancora una volta detto Giorgetti, per il governo si prospetterebbe una soluzione “Ursula”, una maggioranza che va dalla sinistra di Leu, al PD, M5stelle fino a Forza Italia.

D’altra parte Salvini è stato chiaro: “Se il premier vuole fare il Presidente della Repubblica, io non intendo sacrificarmi governando con il PD”.

Poiché andare al voto è, a mio avviso, un’ipotesi non solo improbabile ma né praticabile per la pandemia, e né auspicabile per la situazione generale d’emergenza, anche per la sinistra non “sacrificarsi più con Salvini” potrebbe rappresentare la soluzione migliore.

A condizione che il nuovo patto di maggioranza contenga cose precise sul salario minimo, sul superamento del precariato, sul piano energetico senza nucleare, e anche su una buona legge elettorale che ridia ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti alla data naturale delle elezioni che è nel 2023.

Quando la politica è debole e i partiti si riducono a fare inutili teatrini è normale che per governare un grande Paese come il nostro prevalga la tecnocrazia.

Io penso che vada a finire così. Vedremo.

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Intanto, è bene rileggersi Gramsci a proposito del cesarismo.

“Ma il cesarismo, se esprime sempre la soluzione «arbitrale», affidata a una grande personalità, di una situazione storico-politica caratterizzata da un equilibrio di forze a prospettiva catastrofica, non ha sempre lo stesso significato storico. Ci può essere un cesarismo progressivo e uno regressivo e il significato esatto di ogni forma di cesarismo, in ultima analisi, può essere ricostruito dalla storia concreta e non da uno schema sociologico. È progressivo il cesarismo, quando il suo intervento aiuta la forza progressiva a trionfare sia pure con certi compromessi e temperamenti limitativi della vittoria; è regressivo quando il suo intervento aiuta a trionfare la forza regressiva, anche in questo caso con certi compromessi e limitazioni, che però hanno un valore, una portata e un significato diversi che non nel caso precedente”.

Quale sarà il significato di questa fase politica potremo giudicarlo solo dai fatti, quello che è certo è che il cesarismo ha come elemento costitutivo la esclusione della partecipazione delle masse popolari dalla vicenda politica; questo non significa certo mancanza di elezioni - si tengono perfino nei regimi illiberali - ma vuol dire mancanza di democrazia organizzata, in grado di far pesare partiti, sindacati e forze sociali attraverso cui il popolo si associa e si mobilita “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49 della Costituzione italiana).

Ma la colpa non può essere data a Draghi.

La colpa è solo e soltanto dei partiti.

Ne parleremo ancora.

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Le misure per contrastare la pandemia

Quanto al merito delle misure del governo contro la nuova ondata pandemica, la mia opinione è che si arrivi sempre un pò troppo tardi e sempre facendo troppo poco, inseguendo i fatti determinati dal virus piuttosto che prevenirli con rigore.

Pare che il destino nostro sia quello di rimangiarsi ogni volta il vantaggio che abbiano nella lotta al virus, rispetto agli altri paesi europei, perdendo tempo prezioso in diatribe politiche e distraendosi dalle decisioni necessarie.

Il governo ha stabilito l’obbligo vaccinale solo per gli over 50.

È una misura frutto di una mediazione politica; infatti Lega e M5stelle erano inizialmente contrari. Purtroppo il populismo di questi due partiti è duro a morire.

Lascia allibiti, e dispiace, soprattutto la posizione del M5stelle che pure aveva avuto un primo ministro come Conte, capace di prendere decisioni coraggiose in materia di Covid.

Il fatto è che i governi di unità nazionale finiscono sempre per essere condizionati dai veti e dai ricatti reciproci tra i diversi partiti.

Resta l’amara impressione che la tutela della salute dei cittadini sia troppo governata dalle logiche del consenso piuttosto che trattata come un bene primario, “diritto dell’individuo e interesse della collettività” (Art. 32 della Costituzione italiana).

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La questione del lavoro

Ma non parliamo solo di elezioni del presidente della Repubblica e di lotta alla pandemia perché la questione del lavoro e del benessere di larghi strati popolari emerge di nuovo con tutta la sua acutezza.

Occorre dare dignità a chi fa un lavoro povero e sfruttato, obbligando, ad esempio, le multinazionali delle piattaforme digitali ad assumere 600.000 lavoratori.

Sono non solo i ciclofattorini, ma un insieme eterogeneo di attività che vanno dalla consegna di pacchi o pasti a domicilio allo svolgimento di compiti on line (traduzioni, programmi informatici, riconoscimento immagini).

L’Europa ha proposto che siano assunti tutti alle dipendenze perché non si tratta di lavoro autonomo.

Sono lavoratori a cui riconoscere alcuni diritti fondamenti (tra cui salario minimo, orario di lavoro, sicurezza e salute sul lavoro, forme di assicurazione e protezione sociale) finora negati. In Italia dobbiamo intervenire quanto prima con coraggio e determinazione.

Non ci sono scuse: infatti, ora ce lo chiede l’Europa.

L’Europa ci chiede anche il salario minimo. In Italia se fosse introdotto un salario minimo di 9/10 euro ne beneficerebbero circa 5 milioni di lavoratori.

C’è il rischio che l’augurio di un 2022 di salute e di buona vita nelle relazioni con i nostri cari e amici sia per molti un po’ beffardo.

Gas e luce costeranno nel 2022 alle famiglie italiane mediamente 1.000 euro in più.

Ovviamente saranno maggiormente in difficoltà i redditi più bassi che la riforma dell’Irpef penalizza rispetto agli altri. E ovviamente l’aumento dei costi dell’energia finirà per causare aumenti dei prezzi in tutti i settori colpendo ancora una volta il potere d’acquisto.

Nonostante ciò, c’è stato chi si è scandalizzato dello sciopero indetto dai sindacati per una maggiore giustizia redistributiva.

Funerali di Togliatti, Renato Guttuso

Su D’Alema, la sinistra e il PD

Infine, la discussione politica a sinistra sulle dichiarazioni su D’Alema.

Sostengo da molto che sia il tempo di ritornare nel PD per i compagni di Articolo Uno, ma anche per molte persone di sinistra che sentono la necessità di dare un contributo a rendere più forte la casa comune.

Io ho fatto questo passo, rientrando nel PD, dopo aver riconosciuto il fallimento di Articolo Uno e grazie al lavoro di apertura iniziato da Zingaretti.

Lascerei stare le polemiche sulle malattie e sulle guarigioni perché bisogna pensare al presente e al futuro della sinistra. D’altra parte l’iscrizione ad un partito è sempre individuale.

Perciò, io invito tutti i compagni e le compagne e le persone di sinistra a iscriversi alle sezioni PD e a dare il loro contributo di idee e di lavoro. A mio avviso coloro che vogliono ricostruire una casa grande della sinistra devono rientrare nel PD.

Articolo Uno è stato un fallimento, come dissi all’indomani del risultato elettorale, ma ancor peggio è stato il fatto che la componente di sinistra del PD, uscendo, ha spostato gli equilibri interni al partito e ha fatto mancare il suo contributo.

Ecco perché oggi, entrare nel PD di Letta, che segue la linea di Zingaretti, è una scelta giusta che fa bene alla sinistra in Italia.

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Il PD discuta di politica, di come ottenere la fiducia dei ceti popolari e non se D’Alema possa o no rientrare, come invece sostiene Marcucci.

In politica, ammettere di avere sbagliato sembra che sia impossibile: nessun leader è disposto a farlo. Eppure, se accadesse sarebbe un giorno felice, un modo per riportare la politica alla normalità della vita.

È il caso di Articolo Uno.

Uscire, come anch’io ho fatto e in un ruolo da protagonista, è stato un grave errore, a cui si deve e si può rimediare con umiltà, rientrando nel PD per portare un contributo di idee e di lavoro.

D’altra parte, anche coloro che sono restati nel PD dovrebbero affrontare con spirito critico tutta l’esperienza passata che ha portato il partito al minimo del consenso e a perdere i legami con i ceti popolari, diventando il partito dei benestanti e dei benpensanti piuttosto che quello dei lavoratori e dei ceti più deboli.

Si dice che ora non si può discutere perché siamo in una situazione d’emergenza. È una risposta che mi convince solo in parte.

In ogni caso, è di questi temi che si dovrà discutere nel Congresso del Partito Democratico che a norma di statuto si dovrà tenere nel 2023, e non certo se D’Alema può o non può rientrare; ciò francamente mi sembra un fatto secondario.

Un caro saluto,
Enrico

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Enrico Rossi
Enrico Rossi
Enrico Rossi è nato a Bientina il 25 agosto 1958. Laureato il filosofia a Pisa, è stato sindaco di Pontedera, assessore alla Sanità e presidente della Regione Toscana. Oggi è iscritto al PD e vicepresidente del gruppo socialista al Comitato delle Regioni.