Enrico Rossi
Enrico Rossi
Contro la secessione delle ricche regioni del Nord
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Contro la secessione delle ricche regioni del Nord

Gli ultimi giorni sono stati dominati dalla politica internazionale: guerra in Ucraina, Cop 27 sull’ambiente, incontro del G20. Sullo sfondo restano i grandi problemi economici e sociali del Paese.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni al vertice G20 di Bali (fonte: governo.it)

Care amiche e cari amici,

le due settimane che ci separano dall’ultima newsletter sono state dominate dalla politica internazionale: guerra in Ucraina, Cop 27 sull’ambiente e l’incontro del G20 sono stati gli argomenti che si sono imposti nell’informazione e nel dibattito a livello nazionale, quasi a voler nascondere i grandi problemi economici e sociali che attanagliano il Paese.

Il governo ha preferito ricominciare con la falsa manfrina dell’immigrazione, che sarebbe portata dalle navi delle ONG, finendo per litigare con la Francia e mezza Europa, e infine - difficile a credere - ha rilanciato, con il ministro Roberto Calderoli, il tema della secessione delle ricche regioni del Nord dal resto del Paese. Tutto questo, mentre la stampa della destra e filogovernativa si esalta per i presunti successi che Meloni avrebbe avuto nel lavoro di accreditamento internazionale, soprattutto con gli USA. Vedremo come andrà a finire.

Intanto rileviamo che la presidente del consiglio, da quando si è insediata, pare esclusivamente impegnata ad accreditarsi all’estero, non sempre riuscendoci, come nel caso della Francia e dell’Europa. Evidentemente, nonostante lo storico iper-antlantismo del suo partito, la premier deve avere avuto qualche serio problema a farsi ritenere un interlocutore affidabile, a causa soprattutto delle sue frequentazioni con l’estrema destra post-fascista europea.

Viene spontaneo chiedersi perché prima delle elezioni non ha risolto queste sue criticità, risparmiando così tempo prezioso e dedicandosi di più ai problemi del Paese e alla guida del suo governo, in cui non mancano posizione diversificate tra i partner politici e nel quale Salvini sembra giocare un ruolo tutto personale e in competizione.

Ma cominciamo con la proposta di autonomia differenziata. Nel podcast che trovate in testa alla newsletter ne parlo diffusamente.

NATO, Senior Resilience Officials' Meeting (fonte: Nato)

La guerra, i missili caduti in Polonia e la Nato

La notizia di due missili che sono caduti sul territorio della Polonia facendo due vittime ha suscitato grande tensione e apprensione in tutto il mondo.

Poiché la Polonia è un Paese della Nato, si è temuto che potesse essere il “casus belli” della terza guerra mondiale tra l'Alleanza atlantica e la Russia.

Poi le reazioni caute degli americani, le telefonate tra i leader occidentali - Biden e Macron - e il premier polacco, e le smentite dei russi che hanno parlato di una provocazione, fatta ad arte per produrre una escalation, hanno piano piano allentato il clima, in tarda serata.

La stessa dichiarazione del segretario della Nato che ha parlato di accertamenti in corso è stata molto prudente.

Sono state date più versioni che escludono l’attacco intenzionale da parte della Russia e quindi la necessità di una reazione estrema da parte Nato.

Quello che è certo è che il mondo e l’Europa hanno corso e stanno correndo un bel rischio.

La cautela, la preoccupazione e i nervi saldi avrebbero dovuto essere la cifra della politica anche in Italia, che preferibilmente avrebbe potuto tacere in attesa di notizie più certe o, se proprio non poteva fare a meno di parlare, avrebbe dovuto farsi interprete dell’ansia e della paura che sono stati i sentimenti dominanti tra la gente.

Invece, colpisce l’avventatezza di Calenda con questa dichiarazione bellicosa:

Insomma, per Calenda tutto era già chiaro e si sarebbe dovuto solo reagire.

Inutile commentare le parole di chi fin dall’inizio è sempre stato schierato per la guerra.

Ma anche Letta - lo dico con profondo e sincero dispiacere - è giunto subito ad una conclusione pericolosa, quando, dopo avere espresso giustamente solidarietà ai polacchi, troppo frettolosamente allude a una reazione che richiama gli accordi Nato, dando per scontato quello che, anche nell’ipotesi che fossero stati missili russi, avrebbe dovuto essere ben valutato.

Twitta infatti il segretario del PD:

Formalmente è una dichiarazione corretta, ma almeno un auspicio che tutto si possa chiarire in modo positivo, senza escalation militare, e almeno il coraggio di usare la parola pace come un bene importante me lo sarei aspettato in “un momento così carico di tensioni e paure”, come lui stesso dice.

Mi dispiace, caro Enrico, per me così non va proprio.

Alla fine, si è chiarito che si doveva escludere che si trattava di un missile russo.

A parte Zelensky che ha continuato a dirlo e a chiedere una no-fly zone sul suo paese, che porterebbe dritto dritto alla guerra mondiale, la versione della Nato è invece che si tratta “probabilmente” di un missile della contraerea ucraina.

La discussione sulla provenienza dell’ordigno ha oscurato inoltre il fatto gravissimo dei bombardamenti che la Russia ha effettuato su tutta l’Ucraina, come reazione rabbiosa e brutale all’isolamento in cui si è trovata dopo la condanna dell’invasione da parte dei 'grandi' riuniti al G20 di Bali.

Il fatto è che dopo le dichiarazioni di Xi Jinping e di Biden siamo entrati in una fase nuova e delicata che ha concretamente aperto ad una prospettiva di pace.

I falchi dell’una e dall’altra parte si opporranno con tutte le loro forze e saranno disposti a tutto pur di impedire che si sviluppi il dialogo.

È una fase nella quale i pericoli di una escalation del conflitto aumenteranno anziché diminuire. Ecco perché il movimento per la pace deve far sentire ancora di più la sua voce.

Ed ecco perché le forze politiche, a cominciare dal PD, devono fare una precisa scelta di campo per il cessate il fuoco, per la trattativa e contro l’invio di nuove armi in Ucraina.

È quello che Calenda non capirà mai, ma è invece quello su cui il PD dovrebbe discutere per giungere ad una posizione precisa, per la pace, in sintonia anche con altre forze politiche come sinistra italiana, verdi e M5Stelle.

Dopo quanto è successo, non dovrebbe essere difficile capire, anche per gli iper-atlantisti nostrani, che continuano a mettersi l’elmetto per mostrare la fedeltà alla Nato, che il bellicismo potrebbe essere controproducente e persino intralciare i piani del nostro alleato americano.

Infatti a Bali in Indonesia, al forum dei leader dei paesi più industrializzati del mondo, tra i due grandi, Cina e USA, sono tornate normali relazioni.

Forse questo veramente è il fatto importante che si sia verificato da tempo a questa parte.

Ovviamente, Xi e Biden non sono d’accordo su tutto e tante sono le distanze sui vari argomenti ma almeno sono tornati a parlarsi, per ben tre ore, entrambi più forti, rispettivamente, dopo i risultati del congresso del PCC e le elezioni americane di midterm.

Tra i due paesi c’è competizione ma anche accordo sul fatto che essa dovrà avere un “normale corso”, che il “mondo è grande per entrambi”, che pur con tutte le differenze la politica del confronto permetterà di affrontare "le grandi questioni del nostro tempo".

La Russia di Putin rimane isolata, anche fisicamente, senza la presenza dell’autocrate che non partecipa personalmente alla riunione del G20.

Il dialogo tra Cina e USA apre prospettive di pace per l’Ucraina, anche se non saranno immediate.

I due leader hanno infatti concordato che in Ucraina "non si devono usare le armi nucleari”.

Xi ha detto che “La Cina è estremamente preoccupata per l'attuale situazione che dimostra che i conflitti non producono vincitori”.

Non è una caso che nello stesso giorno anche Zelensky abbia parlato una lingua in linea con il nuovo corso, dichiarando da Kherson che la liberazione della città segna "l'inizio della fine della guerra", aggiungendo: “Siamo pronti per la pace".

Vengono spontanee alcune considerazioni.

La prima è che l’Europa, sul cui territorio è scoppiata la guerra, avrebbe potuto svolgere un ruolo più forte a favore del cessate il fuoco, provare ad essere unita su una linea di richiesta di trattative e risoluzione pacifica del conflitto.

L’Unione Europea può ancora recuperare un ruolo ma dovrebbe parlare con una voce sola e, senza perdere tempo, provare a darsi un unico ministro degli Esteri, e un’unica difesa militare.

Ne consegue che di fronte ad un mondo, ormai dominato da grandi stati continente, i nazionalisti con le loro piccole patrie sono davvero ridicoli, a cominciare infatti da quelli nostrani, perché la loro contrarietà agli Stati Uniti d’Europa ci condanna - noi cittadini europei - ad essere irrilevanti su questioni cruciali, di vita e di morte, che ci riguardano direttamente.

Enrico Letta, segretario del Partito Democratico (fonte: pagina FB Enrico Letta)

In Italia, ovviamente senza rompere con le alleanza storiche del nostro Paese, il PD avrebbe potuto essere meno appiattito sulle posizioni USA e Nato, più autonomo e meno bellicista, trovando fin dall’inizio il coraggio di usare parola pace e senza lasciare da sola l’Ucraina spingere in direzione di una trattativa.

Invece, il popolo per la pace, che ha manifestato a Roma, aveva e ha pienamente ragione: non era putiniano, come hanno detto i detrattori, ma voleva farsi sentire affinché cessi la ferocia della guerra e si fermi la corsa agli aumenti della spesa militare.

Se nel PD avessimo ascoltato un po’ meno Draghi e Calenda e avessimo fatto più tesoro delle parole di Papa Francesco, avremmo potuto trovare ispirazione per una politica estera più giusta e coerente con “il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti”, scritto nella nostra Costituzione.

Il nuovo PD, quando e se, con la costituente definirà i suoi principi fondamentali, dovrà mettere la pace al primo posto del proprio impegno nella politica internazionale.

Infine, poiché da Bali viene solo un inizio di dialogo tra Cina e USA, che può avere ripercussioni positive ma non scontate in Ucraina, il mio auspicio è che il PD e la sinistra tutta si mobilitino ancora di più a fianco del popolo della pace e contro ogni guerra e corsa al riarmo.

Roma, manifestazione per la Pace del 5 novembre (fonte: Rete Italiano Pace e Disarmo)

La pace, prima di tutto.
Un valore fondativo della sinistra.

Sono in molti a ritenere che la politica non potrà fare a meno di tener conto della grande manifestazione per la pace di sabato 5 novembre, che si è svolta a Roma.

Si è infatti attivato un fronte ampio di gruppi, associazioni pacifiste, ambientaliste, sinistra e cinque stelle, cattolici, sindacati e persino cooperative.

Per costruire un fronte democratico e alternativo alla destra si dovrà mettere insieme questo mondo variegato e progressista. Il tema della pace e della spesa per le armi farà da discrimine per la ricomposizione di questo mondo e per la sua unità.

Il PD deve stare molto attento e scegliere da che parte stare.

Non può ad esempio partecipare alla manifestazione di Roma e allo stesso tempo riconoscere che si può manifestare anche a Milano con Calenda e con Moratti.

Non si possono votare gli aumenti per la spesa militare per il nostro Paese e scendere in piazza per chiedere più spesa sociale.

Il Congresso del PD alla fine lo farà la realtà effettiva che spingerà a collocarsi in un senso o in un altro.

Io vorrei che il PD stesse con il popolo della manifestazione di Roma, con i suoi sentimenti e con le sue istanze.

Il tempo delle incertezze è già scaduto.

Un soccorso in mare della Ocean Viking (fonte: pagina FB Sos Mediterranee Italia)

È la democrazia bellezza!

Francia, Germania e anche Spagna attaccano l’Italia sulle politiche dell’immigrazione perché l’Italia viola i diritti umani e la regola dell’accoglienza dei profughi sul primo confine dello Stato europeo.

Abbiamo già scritto quello che pensiamo.

Non solo il governo sbaglia nel merito per fare un’operazione di mera propaganda interna ma le conseguenze per il nostro Paese non saranno di poco conto.

Insomma, siamo entrati in un giro di schiaffi che pagheremo piuttosto caro.

Vedremo se ho ragione oppure se ho torto.

Intanto mi sorprendono certi commenti sui social che invitano a rispettare il governo perché lo hanno voluto gli italiani, a lasciarlo lavorare e a non criticarlo.

È ben strana l’idea di democrazia che hanno questi signori e forse spiega più di ogni altra cosa il successo elettorale di Fratelli d’Italia, eredi non pentiti del MSI e della fiamma eterna del fascismo di Mussolini.

Questa tendenza all’autoritarismo, alle maniere forti, al non disturbare il manovratore che emerge nei provvedimenti del governo e trova consensi nella parte reazionaria della stampa e dell’opinione pubblica mi convince ancora di più che occorre una opposizione democratica ferma e decisa.

A coloro che, anche su questa pagina, reagiscono risentiti, rispondo che devono farsene una ragione.

È la democrazia bellezza!

È il frutto della lotta di Liberazione e della Costituzione antifascista.

Una persona soccorsa nel Mediterraneo (fonte: pagina FB Sos Mediterranee Italia)

Ancora sull'immigrazione

L’Italia litiga con la Francia e l’Europa, ma firma sui temi dell’immigrazione, un documento con Malta, Cipro e Grecia che individua le navi delle ong come navi nemiche ed è molto critico contro gli altri Paesi europei, che in realtà accolgono molto più di noi.

È un’altra mossa miope con cui l’Italia si isola dai grandi paesi europei, si fa più piccola con i piccoli, e si espone a conseguenze negative su ogni piano.

Non è infatti un caso che la Spagna, paese come noi di forte immigrazione dal Mediterraneo, non abbia aderito al documento contro l’Europa.

Il ministro dell’interno Piantedosi, uomo alle strettissime dipendenze di Salvini ha così creato l’asse antiumanitario del Sud, dove torti e ragioni si mescolano, e su tutto emerge la richiesta di politiche restrittive e il rifiuto di soccorrere i migranti naufraghi in mare.

Più che solidarietà all’Europa si chiede nel Mediterraneo politiche di chiusura, respingimenti, diritto alla violazione delle leggi del mare e delle convenzione sottoscritte; in breve si chiede agli altri paesi di acconsentire alla linea di Salvini e Meloni, incurante dei diritti umani e, allo stesso tempo, di farsi carico di più migranti che approdano sulle nostre coste.

La Grecia, infatti, non solo è stata messa all’indice per la vergognosa condizione dei suoi campi di accoglienza, ma anche condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo per il mancato soccorso alle barche dei migranti, lasciati morire in mare.

Altro caso è quello di Malta e di Cipro che sono due piccole isole. A Cipro il numero dei migranti è in effetti il più alto in Europa rispetto alla popolazione, come ha sottolineato anche la visita di Papa Francesco.

Malta invece ha una politica di rifiuto totale dell’accoglienza non avendo neppure firmato gli accordi e le convenzioni internazionali per il soccorso.

Mettere insieme situazione tanto diverse in un unico documento, sbagliato nei toni e nelle richieste, e rappresentativo soltanto di una parte dei paesi del Mediterraneo europeo non è il miglior modo per avviare una discussione e ottenere risultati positivi con i partner dell’Unione.

Invece, è sicuramente il miglior modo per continuare a tenere il dibattito politico tutto concentrato sul tema immigrazione ed evitare che si parli della grave crisi economica e sociale su cui il governo della destra finora mostra di saper dire ben poco.

Avremmo bisogno di un governo che andasse a trattare con l’Europa una politica per fare fronte alla durissima crisi economica nella quale siamo, mettere sotto controllo i prezzi dell’energia, attivare politiche sociali e di solidarietà, evitare le strette creditizie e le politiche di austerità.

Avremmo bisogno, anche e soprattutto dopo la manifestazione pacifista di piazza San Giovanni, e gli spiragli che, dopo la liberazione di Kherson e le nuove prese di posizione di Biden, si sono aperti per percorrere la strada del dialogo, di un impegno straordinario dell’Italia e dell’Europa per la fine della guerra in Ucraina, che è all’origine di tante crisi che attraversiamo.

Invece Meloni, anziché fare questo lavoro, decide di scatenare una polemica che incendia i rapporti con l’Unione, per motivi di mera propaganda, cioè per convincere gli italiani che il nuovo governo destrissimo e italianissimo presidia come non mai i confini della patria da un’invasione che non c’è.

Nell’immediato a pagare tutto questo sono i migranti, bambini e donne incluse, fatti soffrire inutilmente e trattati non come persone ma strumenti di una politica scellerata.

Nel breve e medio periodo, a pagare saranno soprattutto gli italiani in termini di isolamento rispetto all’Unione Europa, da cui dipendono tante cose concrete della nostra economia e della nostra vita.

Colpisce e preoccupa anche il clima generale che si respira nel Paese.

A leggere i titoli di apertura dei grandi giornali nazionali della destra si restava allibiti.

Libero: “I barbari sono ancora loro (cioè i francesi)”.

La Verità: “Macron fa il pazzo con l‘Italia”.

Il Giornale: “La sinistra tifa Francia. L’Europa si sveglia e convoca d’urgenza un vertice”.

Ognuno, d’altra parte, è figlio della propria cultura.

È vero che la storia non si ripete ma viene spontaneo pensare alle giornate del “maggio radioso” e all’eccitazione nazionalistica che precedette l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale.

C’è stato chi ha detto che la storia dopo essersi svolta come tragedia si ripete una seconda volta come farsa.

In effetti, in ciò che sta facendo questo governo non c’è nulla di serio, però non c’è neppure da ridere pensando alle conseguenze per tutti noi.

Istat, rapporto sulla povertà in Italia (fonte: Istat)

La crisi, questa sconosciuta

Sostanzialmente finora sulle misure anticrisi ci si limita a prorogare fino a fine anno le decisioni di Draghi; cioè non si interviene in modo strutturale nel controllo delle bollette né si tassano gli extraprofitti delle aziende energetiche e degli altri settori.

Meloni chiede che su questa materia intervenga l’Europa, con la quale, contraddittoriamente, sui migranti, abbiamo già aperto uno scontro, in particolare con la Francia e pure con la Germania, raccontando una serie di falsità per fare propaganda politica in Italia.

Poi si riduce il super bonus per le ristrutturazioni passando da 110 a 90%, mettendo in crisi imprese e cittadini sulla cessione del credito.

Ma quello che più colpisce è l’innalzamento dei pagamenti in contante fino a 5.000 euro, un regalo agli evasori e alla mafia.

Per dare un segnale della direzione in cui si vuole andare sul piano della spesa sociale, si alza da 600 a 3.000 euro la quota esentasse per i contratti aziendali. Si sottraggono così altre risorse allo Stato sociale e ai servizi sanitari e sociali pubblici e per tutti.

L’unica misura interessante dal punto di vista sociale che viene oggi da Roma è il rinnovo dei contratti per il personale della scuola. Dopo 4 anni di attesa ci saranno aumenti medi lordi di poco più di 100 euro. Siamo molto al di sotto dello stipendio medio europeo che era stato promesso in campagna elettorale.

Letizia Moratti

Sul Partito Democratico

Per le elezioni regionali della Lombardia e del Lazio il Partito Democratico deve evitare di ritrovarsi alleato solo con Renzi e Calenda e in conflitto con il M5stelle.

Sarebbe, a mio avviso, una scelta esiziale.

Fossi al posto del segretario non avrei problemi ad accettare di discutere le condizioni che pone Conte.

Questo non vuol dire che mi piacciono i modi con cui lui abusa di una sua posizione di forza né che debbano essere accolte tutte le sue richieste.

Ma se penso all’assai discutibile testo dell’accordo che Letta firmò con Calenda, per ritrovarsi tradito, due giorni dopo, credo che un sacrificio per allearsi con il M5stelle meriti di essere fatto.

In ogni caso, dovrebbe risultare chiaro agli italiani che il PD è impegnato fino in fondo per ricostruire un’alleanza democratica, a partire proprio da un’intesa con i 5Stelle, e che comunque non è sua la responsabilità di un’altra rottura come c’è stata alle ultime elezioni.

Il punto è politico: si guarda prioritariamente al centro, cioè a Renzi e Calenda, e quindi si accetta a Milano di votare la Moratti, una donna apertamente di destra, in cambio di un sostegno al candidato PD nel Lazio, oppure si guarda a costruire un’alleanza strategica con i 5Stelle basata su temi come la difesa dei ceti più poveri, dei diritti dei lavoratori e del ceto medio, il rilancio della sanità pubblica e la tutela dell’ambiente?

Nel primo caso non ci sarebbe altro che la semplice ripetizione della politica che il PD ha fatto finora, nel secondo caso si avvierebbe l’inizio di una svolta che si proporrebbe come una seria alternativa alla destra per la forza dei numeri e soprattutto per i contenuti.

Il tema ha un risvolto anche nella politica Toscana dove Renzi ha raccolto più voti che in Italia e rivendica più potere in Regione e in Comune, chiedendo verifiche e minacciando apertamente persino la crisi.

Non sarei leale nei confronti del PD e anche delle loro persone se non dicessi chiaramente che le risposte di Nardella e di Giani non mi convincono, mi sembrano deboli perché accettano l’idea che la prima mossa da fare sia quella, come vuole Renzi, di riequilibrare con il centro i rapporti di forza.

Nardella, sindaco di Firenze, ha dichiarato che “a Firenze e in Toscana abbiamo una buona esperienza di governo col Terzo Polo, e che sia interesse di tutti fare in modo che questa esperienza di governo possa continuare”.

Giani, presidente della Regione, ha aggiunto: “Io ritengo che si tratti di stare intorno ad un tavolo e mettersi d'accordo sulle cose. Se Italia Viva lamenta la necessità di un maggiore spazio siamo pronti a darglielo".

È facile osservare che anche in Toscana le elezioni non sono andate bene e che pensare che si possa tornare a vincere con una formula politica che si chiude in un’alleanza tra PD e Italia Viva, riproponendo sostanzialmente quel soggetto politico autosufficiente con ispirazione maggioritaria di qualche anno fa, è un’illusione destinata a consumarsi, lasciando uno spazio grande a sinistra, proprio dove c’è bisogno di recuperare per mettersi in gioco, rinnovare sul piano programmatico e sconfiggere una destra che anche nella nostra regione è sempre più forte.

In politica è fondamentale avere una strategia e un metodo. Io non dico che per le nostre alleanze si debba costruire un rapporto esclusivo con il M5stelle ma che da un rapporto con loro è fondamentale partire.

Questo, a mio avviso, deve essere l’indirizzo nazionale che poi si declinerà nelle diverse realtà territoriali, regionali e comunali, secondo il principio di autonomia e di appropriatezza.

Ma se le scelte locali partono da un indirizzo diverso o persino contrario significa che non c’è una linea politica nazionale chiara oppure, se c’è, come è probabile, è quella sbagliata.

La fase Costituente dovrà servire, io spero, anche a sciogliere questi nodi.

La candidatura di Letizia Moratti con il sostegno del PD è già stata esclusa con parole nette dal vicesegretario Peppe Provenzano.

Invitare gli elettori di sinistra - una buona parte dei quali si astengono alle elezioni perché si sentono traditi - a schierarsi per un esponente politico che ha una lunga carriera dentro la destra e che ha deciso di rompere ora, perché il suo schieramento non ha voluto nominarla ministra né candidarla alla presidenza della Lombardia, sarebbe stato per il PD semplicemente un suicidio.

Il fatto che sia stato possibile, da parte di Renzi e Calenda, avere la spregiudicatezza di fare quella proposta al PD dimostra purtroppo il livello a cui è giunta la sinistra nel nostro Paese.

Per un lungo periodo si è teorizzato la necessità di spostarsi verso centro dell’elettorato pur di vincere, accettando quindi di governare con le idee degli altri e in governi di larghe intese; ora si vorrebbe che venisse fatto il salto definitivo: essere disposti a sostenere direttamente personaggi di destra.

L’equivoco politico, che per la sinistra è cruciale, anzi esistenziale, era stato già innescato da tempo con la corsa verso le posizioni più moderate, si è poi conclamato, come una malattia, dopo la conquista del partito da parte di Renzi e la promozione alla guida del PD di un gruppo dirigente in buona parte lontano dalle idee di eguaglianza e di cambiamento sociale.

Il congresso del PD di cui si parla dovrà sciogliere questi nodi e decidere quale deve essere l’anima del partito e la sua concreta politica.

Un’anima socialista e solidale che aggiorna per i tempi che viviamo la storia della sinistra popolare italiana, socialcomunista e cattolico democratica, oppure un’anima di centro con un’impronta liberale, tecnocratica e mercatista?

Quando si parla della necessità di definire l’identità del PD è di questo che si sta discutendo, cioè dei riferimenti ideali e programmatici di un partito di sinistra plurale e del modo di selezionare una classe dirigente nuova che rappresenti le istanze dei ceti vulnerabili e deboli, dei lavoratori e dei ceti medi.

Qualcosa di più profondo e di serio che mettersi in fila ai gazebo per scegliere un nuovo segretario che si dota di un suo staff per comandare, senza che siano stati chiariti i fondamentali valori del partito come frutto di una elaborazione collettiva.

Renzi e Calenda hanno fatto la mossa di Moratti perché sanno che in un partito come il PD, dai confini ideologici e programmatici non definiti, le loro proposte, provenienti da una forza di centro liberale che guarda a destra, possono avere un certo ascendente e trovare persino espliciti sostegni.

Però se questi due personaggi si mostrano tanto arroganti la colpa non è solo loro e neppure del loro intrinseco carattere ma è anche del PD stesso che di un carattere, cioè di un solido profilo politico e culturale, ha assolutamente bisogno per vivere.

Questa è la vera sfida, difficile ma entusiasmante, della costituente che si è deciso di fare.

Dario Nardella (Fonte: pagina FB di Dario Nardella)

Nardella e l'idea vecchia del partito dei sindaci

Ho letto con attenzione l’intervista di Dario Nardella e dalla quale si evince che il sindaco di Firenze è in procinto di candidarsi alla segreteria del PD.

Il sindaco Nardella sostiene la tesi secondo cui per aprire il PD, e far affluire forze nuove nel partito, ci sarebbe bisogno di un ruolo dominante degli amministratori e dei sindaci in particolare che, secondo lui, a differenza del partito nazionale, vincerebbero le elezioni perché “manifestano cura per la loro comunità” e “sperimentano forme innovative di welfare”.

Tuttavia non si capisce dove Nardella ricavi l’idea che a livello locale il PD vinca.

Infatti, se guardiamo alle città capoluogo della nostra regione, la Toscana, il centrosinistra non amministra più Massa, Pisa, Grosseto, Siena, Arezzo, Pistoia e Lucca, e non va certo meglio nei centri medi e in quelli piccoli.

Anche nel resto dell’Italia c’è poco da stare allegri: il centrosinistra , anche dopo le elezioni dell’ottobre 2021, esprime il sindaco in non più di 48 comuni capoluogo su 111.

Inoltre, come è noto, tanti piccoli centri delle aree interne indirizzano spesso il loro voto non certo al PD ma piuttosto verso la protesta motivata da un sentimento di emarginazione dai servizi e di esclusione dai flussi della modernità che caratterizzano i grandi centri urbani; le cui periferie, infatti, abitate dai ceti popolari sono diventate spesso per il centrosinistra un terreno particolarmente difficile se non apertamente ostile.

Dunque, la realtà è molto più complicata di come Nardella vuole presentarla con una tesi che non ha riscontro con la realtà è che è soltanto funzionale a rivolgere un appello ai primi cittadini affinché sostengano la sua candidatura.

Il sindaco di Firenze nega di voler fare un partito dei sindaci che, dice, sarebbe “autoreferenziale e corporativo”, però pensa ad un “movimento promosso dai sindaci” capace di incidere sulle scelte.

In realtà i sindaci e gli amministratori da tempo già contano molto nel partito e non c’è, a mio avviso, nessun bisogno che il loro potere invada ancora di più tutto il campo della politica.

Il PD ha bisogno di ridefinire e scegliere i suoi punti di riferimento sociale, gli emarginati e bisognosi, gli operai, il ceto medio, gli intellettuali e all’interno di queste categorie promuovere una nuova classe dirigente di partito capace di una visione, non meramente amministrativa, del futuro e degli interessi del Paese.

Gli amministratori sono importanti ma non bastano, né possono rivendicare, semplicemente per la loro posizione, un ruolo dominante rispetto ad altri le cui esperienze di vita e le cui competenze sono ugualmente di grande valore per costruire un partito davvero nuovo e diverso.

L’idea dei sindaci alla guida del partito è un’idea vecchia , lanciata a suo tempo da Renzi, e in gran parte già praticata, che anziché risolvere i problemi che stanno alla base della crisi de PD e della sinistra, finirebbe soltanto per aggravarli.

Viva Lula!

Chiudo con un omaggio al neopresidente del Brasile Lula che a Cop27 si è presentato promettendo che insieme agli indigeni vuole salvare la foresta amazzonica dalla devastazione, dalla deforestazione e dal brutale sfruttamento delle multinazionali dell’agro business.

[Nota sul video: su YouTube si possono attivare i sottotitoli in italiano o inglese, con traduzione automatica]

E’ un messaggio di speranza per tutto il mondo.

Un caro saluto,

Enrico

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Enrico Rossi
Enrico Rossi
Enrico Rossi è nato a Bientina il 25 agosto 1958. Laureato il filosofia a Pisa, è stato sindaco di Pontedera, assessore alla Sanità e presidente della Regione Toscana. Oggi è iscritto al PD e vicepresidente del gruppo socialista al Comitato delle Regioni.
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