Enrico Rossi
Enrico Rossi
Nubi nere sull'Italia
0:00
-3:06

Nubi nere sull'Italia

Nelle nuove denominazioni dei ministeri si intravedono inquietanti assonanze con il Ventennio, condite da un gusto nazionalistico e pure autarchico. Ora serve un'opposizione forte.
Palazzo del Quirinale, giuramento di Giorgia Meloni (Foto Presidenza della Repubblica)

Care amiche e cari amici,
nel podcast trovate le mie prime impressioni sul nuovo governo.
Un governo che non pare davvero di alto profilo.

Voglio però fare un passo indietro.

Le settimane precedenti la formazione del nuovo governo sono state precedute da pesanti attacchi di Berlusconi a Meloni, finché il Cavaliere non ha compiuto un'ennesima svolta con cui ha rivendicato il suo atlantismo e il suo europeismo, ha ricevuto Nordio e ha dato il via libera per lui alla Giustizia, dichiarando che sarebbe salito al Quirinale con il nome di Meloni.

Ma allora qual era il significato delle invettive contro la candidata premier?

Nessuno può pensare che il comportamento di Berlusconi sia frutto di una patologia psichiatrica.

In realtà, se anche fosse, c’è del metodo nella sua follia.

Berlusconi non si muove dal suo perimetro che, con una certa coerenza, è sempre stato quello della destra, sempre includendo nel suo schieramento oltre che le sue truppe, i leghisti e i neofascisti.

Però non accetta che l’egemonia sia nelle mani di Meloni e di Fratelli d’Italia.

Così ha cominciato a picconare il governo prima ancora che esso si insediasse. E si è esibito in un inedito assoluto anche sulla movimentata e fantasiosa politica italiana che non casualmente Silvio definisce “teatrino” con una parola che ha imposto a tutti.

Berlusconi confida nel fatto che prima o poi non mancherà qualche occasione su cui il governo potrà cadere.

Conoscendo bene l’animo umano sa anche che i ministri si attaccano volentieri al loro ruolo e quindi che la stessa compagine potrebbe anche sostenere un nuovo governo con un altro leader diverso da Meloni.

Più che un’opera di logoramento della leader di Fratelli d’Italia, il Cavaliere ha iniziato un’opera di demolizione preventiva che è durata fino al momento dell’incontro con il presidente della Repubblica e che naturalmente potrà riprendere subito dopo il giuramento.

Palazzo del Quirinale, consultazioni (Foto Presidenza della Repubblica)

E gli interessi del Paese?

Ma chi se ne frega! Quando mai a Berlusconi sono stati veramente a cuore i problemi dell’Italia?

Questa strategia potrebbe trovare un punto di crisi sul fatto che Fratelli d’Italia mostra di essere un vero partito, organizzato, serio, pronto alle elezioni in qualsiasi momento, non attaccato alle poltrone.

Questo dice Meloni quando afferma di non essere ricattabile e che per lei o si fa il governo della destra a sua guida o si torna al voto.

E la sinistra che fa? Stiamo a guardare?

A mio avviso, oltre che difendere i lavoratori e i ceti medi, i non garantiti e chi è privo di diritti, deve subito impegnarsi a costruire un campo democratico con alla base il PD e il M5stelle.

Per il PD è necessario anche definire una nuova identità ideale che non può che essere socialista e ambientalista e ripensare la forma partito, da partito leggero e basato su un uomo solo al comando, sul leaderismo che ha già fatto fuori 8 segretari perdendo sempre voti, a partito pesante, con le sezioni sui territori, in cui convive una sinistra plurale e una leadership collettiva guidata da un segretario non ricattabile dalle correnti e capace di fare sintesi.

Riuscirà il PD a fare tutto questo e evitare di cadere nuovamente nel “governismo”, che impera da almeno 12 anni, rivendicando le elezioni , come si fa in una normale democrazia con una normale dialettica tra maggioranza e opposizione, il giorno in cui dovesse cadere il governo Meloni?

Francamente ne dubito.

Ma, per questa prospettiva mi impegnerò con tutte le mie forze.

A mio avviso è l’unico modo per ricostruire una sinistra in Italia, curare la malattia del renzismo ancora persistente, e battere la destra sia essa di Berlusconi, Salvini, Meloni o di altri.

Share


La povertà in Italia

Una notizia è passata quasi inosservata sulla grande stampa nazionale e nel dibattito politico: negli anni della pandemia, della guerra e della crisi energetica i poveri aumentano e, secondo il rapporto della Caritas, sono ormai il dieci per cento della popolazione.

Sono soprattutto bambini che stanno in famiglie numerose, sono immigrati che non ricevono nessun aiuto prima di dieci anni di residenza, sono lavoratori precari o comunque che guadagnano poco.

Il reddito di cittadinanza non raggiunge nemmeno la metà di loro.

Ma per questo non deve essere tolto, semmai deve essere meglio calibrato a favore dei “poveri assoluti”.

Soprattutto dovrebbe essere integrato con misure come il salario minimo a 10 euro (ce lo chiede l’Europa), la lotta alla precarietà del lavoro (in Spagna ci sono riusciti), la riduzione delle tasse sulle buste paga dei lavoratori e sulle pensioni più basse (almeno una mensilità in più all’anno), l’assunzione alle dipendenze delle aziende dei ciclofattorini (anche questo ce lo chiede l’Europa), l’adeguamento e il ringiovanimento della Pubblica amministrazione.

Oltre a questo bisogna spendere subito e bene i fondi europei e per quanto possibile indirizzarli verso la costruzione di alloggi popolari, di trasporti pubblici, di servizi pubblici nei settori della formazione, dell’Università e della ricerca. La sanità deve essere pubblica, di qualità e accessibile a tutti.

Anche la scuola deve essere sostenuta, perché i più poveri - conferma il rapporto della Caritas - sono i meno istruiti che non riescono a modificare la propria situazione e la tramandano di padre in figlio, come fossero “appiccicati al loro pavimento” sociale.

Insomma, occorre una politica di grande respiro sociale che metta l’eguaglianza dei cittadini al primo posto, che ridistribuisca la ricchezza e che abbia il coraggio di trovare le risorse nell’ all’evasione, nella tassazione degli extraprofitti e in un fisco realmente progressivo.

Il Quarto Stato, Giuseppe Pellizza da Volpedo

Su questo terreno la sinistra e il PD devono fare opposizione e sfidare il governo della destra.

Sarà un lavoro lungo e difficile perché le classi dominanti e la destra hanno costruito il loro racconto della società basandolo sulla paura dei poveri e degli immigrati, presentati come pericolosi e potenziali criminali o fannulloni da disprezzare, e sulla condanna del ruolo dello Stato, sempre sprecone, dissipatore e clientelare, a favore del mercato e del privato, fonti di ogni bene e razionalità.

Per tornare a vincere occorre rovesciare questa impostazione, oggi egemone, e costruire un fronte ampio di alleanze sociali e politiche: un blocco sociale che metta insieme i lavoratori e il ceto medio, i non garantiti e chi è privo di diritti e uno schieramento politico ampio che unisca il PD, il M5stelle e la sinistra.

Ci vorrà tempo. Ma penso che ne avremo perché questa maggioranza di destra durerà, diversamente da quanto preconizzato e forse anche auspicato da qualcuno che vorrebbe tornare in gioco con governi di larghe intese, varie e trasversali.

Un punto su tutti deve perciò essere chiaro: mai più con la destra. Se un giorno il governo Meloni dovesse cadere e la destra non fosse in grado di esprimerne uno nuovo, l’unica soluzione per noi deve essere il ritorno alle urne.

La democrazia vive di conflitto e non di inciuci.

Invece, il congresso del PD si annuncia con ricette vecchie, sperimentate e fallite. Bonaccini, candidato - si dice - a segretario ha proposto di fare il partito dei sindaci. Già Renzi aveva lanciato e praticato l'idea nel lontano 2013.

L'esito è sotto i nostri occhi. I dirigenti provinciali e regionali del partito quasi sempre sono sindaci, assessori, persone impegnate in incarichi istituzionali.

Non a caso il partito vive solo nell'ottica delle istituzioni e dei governi, si mostra come forza politica dell'establishment, non si occupa dei circoli territoriali, è assente dalla società.

Non abbiamo bisogno di un partito di sindaci e amministratori ma di un partito del popolo, dei lavoratori, dei ceti medi produttivi, delle giovani generazioni spesso confinate oggi in ruoli marginali nella società.

È ovvio che in questo partito la voce dei sindaci e dei presidenti di regione avrà un ruolo, come devono tornare ad averla le organizzazioni del mondo del lavoro dipendente e autonomo.

Senza una distinzione tra compiti del PD nelle istituzioni e sua presenza forte nella società il rinnovamento sarà al massimo una mano di vernice fresca sull'esistente, con la conservazione di quella confederazione di correnti dedite a cercare una sistemazioni dei propri fedeli ed equilibri nei posti di comando, non certo a offrire al partito proposte e idee. Insomma: un continuismo vestito di nuovo, lontano anni luce da quella sinistra plurale che il PD doveva e dovrebbe essere.

In conclusione, il governo Draghi ha finito il suo lavoro e lascia il Paese nelle mani della destra più estrema.

Sullo sfondo, la prospettiva per il 2023 di una crescita zero, di una crisi energetica senza precedenti per famiglie e imprese e di un aumento della disoccupazione e del debito pubblico con i tagli alla spesa sociale.

Certo, questi problemi sono presenti in tutta l’Europa, ma non dovunque allo stesso modo e soprattutto è diverso il modo di affrontarli.

Pedro Sánchez, presidente del governo spagnolo

Un caso interessante è rappresentato dalla Spagna.

In Spagna, il Partito Socialista guidato da Pedro Sanchez, non ha mai voluto fare governi di unità nazionale e, pur costringendo il suo paese ad andare più volte alle elezioni, non ha perso voti e ha potuto governare facendo politiche di sinistra.

A inizio 2022 ha approvato un’importante riforma del mercato lavoro che funziona molto bene. Il lavoro precario e a tempo determinato è stato fortemente limitato ai casi di stagionalità, picchi di produzione e sostituzioni. Il contratto a tempo indeterminato è diventato la via di accesso ordinaria al mercato del lavoro. Insomma, si è fatto l’opposto del nostro jobs act.

In precedenza, nel 2020 era stato istituito un reddito minimo garantito per legge, molto simile al reddito di cittadinanza italiano. Successivamente sono stati approvati anche l’innalzamento del salario minimo e una legge per la maggior tutela dei rider, imponendo che venissero assunti come dipendenti delle aziende. Per venire incontro ai cittadini più poveri e più colpiti dall’inflazione il governo ha deciso di introdurre due nuove imposte straordinarie sui profitti delle società energetiche e sui profitti accumulati dalle banche a causa del rialzo dei tassi d’interesse.

Le nuove entrate permetteranno di pagare meno tasse al 50 per cento dei lavoratori e alle piccole e medie imprese.

Inoltre sono stati resi gratuiti gli abbonamenti per il trasporto ferroviario statale a corta e media percorrenza, per incentivare l’uso del trasporto pubblico.

Per il 2023 e il 2024 i contribuenti più ricchi, quelli con i redditi netti a partire dai 3 milioni di euro, dovranno versare un contributo di solidarietà che consentirà di raccogliere in totale 1,5 miliardi di euro. È un atto importante e coraggioso di ridistribuzione della ricchezza.

Grande è stato anche l’impegno sui diritti civili: lo scorso anno il parlamento ha approvato con una larga maggioranza una legge sull’eutanasia.

Infine la Spagna da alcuni mesi ha fissato un tetto temporaneo al prezzo del gas portandolo a 40 euro per Megawattora, una cifra imparagonabile a quella di Francia, Germania e Italia.

Queste informazioni, che di possono ricavare dal giornale on line Il Post, dimostrano che si può fare molto diversamente da quello che ha fatto finora il PD e cioè che è giusto stare al governo solo se si possono fare cose di sinistra, che non si devono fare governi con la destra, che quando non c'è una maggioranza in parlamento è giusto ricorrere alle elezioni. Magari con una buona legge elettorale. Dimenticavo: il PSOE di Sanchez ha fatto queste cose con Podemos, qualcosa di simile ai nostri 5stelle ma dichiaratamente di sinistra.

E questo dobbiamo dirlo anche a Conte, perché l’esempio spagnolo riguarda anche lui che fece un governo con Salvini.

Share Enrico Rossi


Berlino, sede della SPD

Il congresso del Partito del Socialismo Europeo

A Berlino si è svolto la scorsa settimana il congresso del Partito del Socialismo Europeo, a cui ho partecipato.

Francamente non ho mai sentito i socialisti europei così determinati nella difesa delle classi lavoratrici, dei ceti più deboli e vulnerabili.

Si parla esplicitamente di salario minimo europeo, di lotta al lavoro precario, di contrasto all’inflazione, fino a rivendicare la necessità di tassare gli extraprofitti, le speculazioni e i ricchi.

Nettissima è poi la posizione sui diritti civili, sulla liberazione della donna e sul femminismo, sul riconoscimento e sul rispetto di tutte le diversità.

La questione ambientale è assunta come priorità: per salvare gli uomini occorre salvare il pianeta. Quindi è necessario un cambiamento nell’uso e nella produzione dell’energia verso una società più pulita e a zero emissioni.

Anche sulla questione della guerra, la risposta contro l’aggressione di Putin, che ha violato il diritto internazionale, e la solidarietà all’Ucraina si sino accompagnate a preoccupazioni per un conflitto atomico fino alla richiesta in alcuni interventi di aprire una via diplomatica.

Preoccupante, a mio avviso, invece è la volontà di procedere al riarmo da parte della Germania che se non avvenisse nel quadro di una politica estera europea autonoma e di un esercito europeo sarebbe un pericoloso segnale di nazionalismo.

Non ci sono comunque dubbi sul fatto che la famiglia del socialismo europeo è quella della sinistra italiana. Anzi, per il PD si deve porre esplicitamente anche il tema di un cambiamento del nome introducendo un richiamo al socialismo europeo.

Nel dibattito congressuale, a mio avviso, due temi non sono stati con sufficienza messi in evidenza.

Il primo riguarda l’obiettivo, che il PSE deve assumere pienamente, della costruzione degli Stati Uniti D’Europa. Infatti senza un’Europa politica sarà difficile affrontare le sfide che abbiamo di fronte.

Il secondo tema riguarda la critica al capitalismo.

È vero che non sono mancati cenni importanti contro il dominio del mercato e delle multinazionali e contro la fase neoliberista degli anni passati.

Ma, si ha come un timore a parlare con forza della necessità di una riforma del capitalismo, dei meccanismi di fondo che hanno prodotto una crisi che sta minacciando la nostra vita e il nostro benessere.

In definitiva, si rinuncia ad una visione generale, ad un pensiero critico che sia alla base dell’idea di un cambiamento profondo della società.

L’impressione che io ricevo da questo congresso è che si dicono tante cose giuste e condivisibili ma senza il necesssrio respiro ideale, senza una filosofia sociale sullo sfondo.

Senza la prospettiva degli Stati Uniti d’Europa e senza una critica puntuale del capitalismo il rischio è che il socialismo europeo resti schiacciato in un eccesso di pragmatismo e finisca per essere assimilato a questa società che produce ingiustizie e sofferenza.

Il rischio è che il populismo e la destra estrema forniscano invece l’illusione di una critica dell’esistente e una conseguente visione del cambiamento attraendo nella loro orbita settori importanti della società che si sentono messi ai margini e che sono in sofferenza.

Tuttavia, io non perdo la speranza che nel socialismo europeo possa avvenire quel salto di qualità ideologico che ho auspicato. Siamo sulla buona strada e i problemi incombono e costringono la politica ad adeguarsi o a perdere.

Infine uno sguardo alla lotta delle donne iraniane contro un regime misogino e oppressivo.

Share


La lotta delle donne iraniane

In Iran continua il massacro delle donne che lottano contro il regime fondamentalista islamico, tradizionalista e maschilista che vive in un delirio di oppressione sulle donne.

Sono donne, spesso giovani, uccise a colpi di arma da fuoco o bastonate o torturate fino alla morte nelle carceri dagli infami e misogini guardiani di una morale che loro stessi si incaricano di stabilire.

Ma anche le donne più anziane si ribellano.

Una donna di 80 anni che per tutta la vita ha portato il hijab si è seduta nel soggiorno e si è tolta il chador per protestare per la morte del figlio blogger, avvenuta nel 2010 per mano del regime.

La signora ha lasciato scivolare i capelli bianchi sulla veste nera e ha detto:

“Per i nostri giovani dopo 80 anni mi tolgo il mio hijab a causa di una religione che sta uccidendo le persone. Maledico i codardi. Se mi ascoltate, scendete in piazza”.

Le donne iraniane sono un esempio di coraggio per tutti gli oppressi del mondo, sono la testimonianza che si può lottare per la libertà e per i diritti contro il regime più feroce e non dargli tregua per provare a demolirlo dalle fondamenta.

Il loro canto è ”bella ciao”, il canto della nostra resistenza contro l’oppressione nazifascista.

Penso con grande amarezza che questo bellissimo inno alla libertà, che l’Italia ha donato al mondo, non sarebbe possibile ascoltarlo sulla bocca di alcune massime cariche dello Stato italiano; sicuramente del nostro presidente del Senato e, con ogni probabilità, anche della presidente del consiglio.

Un caro saluto,
Enrico

1 Commento
Enrico Rossi
Enrico Rossi
Enrico Rossi è nato a Bientina il 25 agosto 1958. Laureato il filosofia a Pisa, è stato sindaco di Pontedera, assessore alla Sanità e presidente della Regione Toscana. Oggi è iscritto al PD e vicepresidente del gruppo socialista al Comitato delle Regioni.