Crescita senza giustizia
L’italia vive una ripresa forte ma senza giustizia. E cosi si approfondiscono le diseguaglianze territoriali, sociali e di genere. Poi parliamo di cannabis, vaccini e linguaggio corretto.
Care amiche e cari amici,
questa settimana vorrei proporvi tre temi: la questione del proibizionismo per la cannabis, quella di una crescita economica senza giustizia sociale e di un fisco non progressivo che penalizza i redditi più bassi, poi ancora la pandemia, e infine una battuta, fin troppo facile, sulle linea guida – opportunamente bloccate – per il linguaggio corretto in Europa.
Legalizzare la cannabis
Io non sono tra coloro che pensano che la cannabis, come altre sostanze psicotrope, faccia bene alla salute, a parte l’uso terapeutico che in Italia non è ancora adeguato ai bisogni dei malati.
L’abuso della cannabis, al pari di quello del tabacco, dell’alcol e degli zuccheri, può essere gravemente dannoso. Penso però che sarebbe saggio legalizzare la cannabis e separarne nettamente il mercato dal predominio delle organizzazioni criminali.
La giustezza di questa proposta è così evidente che le contestazioni che vengono dalla destra contro le dichiarazioni del ministro Orlando, a mio avviso, sono solo segno di ipocrisia.
Ormai sulla strada delle legalizzazioni si sono mossi diversi Stati americani retti dai democratici e i risultati sono stati positivi sotto ogni aspetto: i consumi non sono aumentati, le organizzazioni criminali sono state messe al palo, e si è sviluppata un’economia legale e regolare che paga le tasse. Anche la Germania a guida socialdemocratica ha deciso per la legalizzazione.
Da decenni in Italia si discute, è arrivato il momento di decidere.
Ecco cosa scriveva Pippo Civati su Il Post del 3 giugno 2021 a proposito del proibizionismo.
“Ci sono cose impossibili e cose talmente realistiche e semplici da ottenere e razionali e di buon senso – categoria evocata ormai da tutto il ceto politico – di cui però non si parla nemmeno, e la cannabis è forse l’esempio più clamoroso in questo senso. Non importa che stiano legalizzando altri Paesi, che il proibizionismo abbia fallito soprattutto nel limitarne il consumo, che se ne approfittino circuiti illegali. Non conta. Conta solo che non si può legalizzare. Come se fosse un assioma, un fatto insuperabile, come se cambiare fosse un azzardo gigantesco. Ciò va ben oltre il condizionamento del Vaticano e del tradizionalismo politico che al Vaticano continuamente si riferisce, spesso senza un reale collegamento con ciò che Oltretevere si pensa. No, è un fatto assoluto. La cannabis non si legalizza. Perché? Perché no. Non ci sono argomenti per non sperimentare questa via, tutti quelli che sono stati snocciolati in questi lunghi quarant’anni di proibizionismo si sono dimostrati infondati e spesso ridicoli, a cominciare dall’idea della droga di passaggio. Per non parlare del fatto che a rigor di logica dovrebbe essere vietato sia il fumo sia l’alcol, se davvero si fosse coerenti con certi argomenti o presunti tali”
Una ripresa senza giustizia
L’italia vive una ripresa forte ma senza giustizia, e cosi si approfondiscono le diseguaglianze territoriali, sociali e di genere.
L’inflazione viaggia verso il 4 per cento, il Nord cresce più del Sud, ci sono oltre due milioni di famiglie in povertà, e sempre meno donne al lavoro.
Occorrono misure forti di ridistribuzione della ricchezza, piani pubblici per l’occupazione giovanile e femminile, nei settori dell’ambiente, della cultura e del sociale, un salario minimo decente, e una protezione sociale - che oggi si chiama reddito di cittadinanza - che aiuti davvero chi ha bisogno.
Questo progetto al momento non è presente in modo adeguato.
Draghi fa quello che può con una maggioranza variegata e divisa, ed è bene che continui nel suo ruolo fino al 2023.
Spetta alla sinistra elaborare un progetto di sviluppo economico che abbia alla base la giustizia sociale e il rispetto dell’ambiente.
I salari in Italia sono già sotto la media europea, ora sono anche sotto attacco dell’inflazione. Anche per questo la riforma dell’Irpef non può, come nella proposta del governo, lasciare invariata l’aliquota del 23 per cento per i redditi fino a 15 mila euro che riguardano, lo ricordo, la gran parte dei lavoratori dipendenti.
Ma non basta. Nel nostro Paese ci sono salari da fame, spesso precari e con una paga oraria da vergogna. Per questo occorre anche una proposta di legge molto semplice che dica più o meno così: “è introdotto in Italia il salario minimo orario. Il costo orario è fissato a 10 (dieci) euro”.
Letta è giustamente preoccupato perché il PD prende solo l’8 per cento del voto operaio.
Ecco due proposte serie per parlare di nuovo al mondo del lavoro e convincere i lavoratori a stare con il PD e con la sinistra.
Niente di rivoluzionario: è quello che hanno fatto con i loro programmi i democratici americani e i socialdemocratici tedeschi. E anche per questo hanno vinto le elezioni.
Mancava, in fine settimana, un episodio semplicemente indecente sul piano politico e pure sul piano della giustizia fiscale e della solidarietà sociale ed economica che l’articolo 2 della Costituzione ritiene che sia un dovere inderogabile.
Draghi, in consiglio dei ministri, ha proposto un contributo sui redditi più alti, sopra i 75 mila euro, per far fronte al rincaro delle bollette dell’energia. Ma Lega, Forza Italia e Italia Viva sono state contrarie. PD e Movimento 5 Stelle erano a favore ma non sono bastati a far passare questo provvedimento che avrebbe rappresentato una, seppure timida e limitata nel tempo, scelta di solidarietà.
Ogni commento è inutile. Badate bene.
Non si trattava di aumentare il prelievo su quei redditi, ma semplicemente di far slittare di due anni il taglio dell’Irpef per quei contribuenti in modo dare qualche risorsa a coloro che, poveri, non avranno nessun beneficio dalla riforma Irpef proposta dal governo, ma dovranno pagare l’aumento delle bollette se vogliono scaldarsi e cucinare.
Di fronte al clima di protesta che sta crescendo nel Paese, Chicco Testa è subito intervenuto ovviamente preoccupato non dei poveri ma dei redditi più alti:
In effetti nemmeno io considero ricco una persona che ha quel reddito.
Però mi piacerebbe chiedere a Chicco Testa se non sia il caso di pensare prima di tutto ai milioni di lavoratori, la grande maggioranza, che vivono con meno di 1.250 euro al mese, per i quali non sono previsti interventi a favore nella riforma delle aliquote Irpef.
Forse questo sarebbe un filino di sinistra.
Sulla riforma Irpef è molto interessante lo studio della Cgil Veneto che ha simulato l'applicazione delle nuove aliquote Irpef sui lavoratori veneti che si sono rivolti quest'anno ai Caaf.
Il risultato è inequivocabile: i tre quarti di loro sono esclusi da miglioramenti significativi. Ad essere più penalizzati - ancora una volta – sono le lavoratrici e i giovani lavoratori. La valutazione è stata effettuata su ben 146.898 dichiarazione dei redditi del 2021. 113.838 contribuenti risparmieranno: zero (è il primo scaglione fino a 15.000 euro e rappresenta il 25% del totale), oppure 10 euro lordi al mese (lo scaglione tra 15.000 e 28.000 euro, che rappresenta il 52% del totale). Il 77% dei lavoratori, quindi, non riceverà nulla o appena qualche briciola. Se invece si considera l'elemento di genere e anagrafico, le cose vanno perfino peggio. L'87% delle donne lavoratrici (60.141) otterrà nulla o 10 euro lordi al mese. Stesso discorso per il 91% dei giovani lavoratori (26.231). I benefici si concentreranno sul terzo scaglione (da 28.000 a 50.000 euro) e sul quarto (sopra i 50.000 euro), che si vedranno ridurre le tasse da 300 a 420 euro all'anno. Sono 21.301 lavoratori, il 64% dei quali è maschio e ha più di 35 anni.
Infine ecco l’impatto della pandemia sui salari in Europa:
Sul livello salariale dei Paesi Ue, come in altre parti del mondo, la crisi Covid ha avuto senza dubbio un impatto. Ma anche in questo caso la dinamica italiana emerge dai dati Ocse con un record negativo. Tra il 2019 e il 2020, tralasciando casi come quelli dell'Olanda (dove gli stipendi sono cresciuti nonostante la pandemia), i Paesi più colpiti dalla prima ondata hanno visto una contrazione del salario medio. Ma se in Francia tale contrazione è stata del 3,2% e in Spagna del 2,9%, in Italia il calo ha sfiorato il 6%. "A causare questo fenomeno è stato, in maniera particolare, il taglio delle ore lavorative, mentre il problema della perdita del lavoro è stato in buona parte arginato da misure di salvaguardia a livello nazionale, che sono riuscite a contenerne gli effetti più negativi", scrive OpenPolis.
Difendere la vita, vaccinare l’umanità
La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha detto che si deve pensare a mettere l’obbligo del vaccino, perché in Europa ci sono ben 150 milioni di non vaccinati. Come sempre troppo poco e troppo tardi.
Il 1° dicembre in Italia sono morte 100 persone e in Europa ben 2.400 e la tendenza del numero delle morti per Covid è a crescere.
Io resto convinto che se si fosse messo subito l’obbligo della vaccinazione gran parte di queste persone potevano essere salvate. Allora mi prende un senso di rabbia perché io so che loro già sapevano tutto questo. Bastava ascoltare gli scienziati e i medici e fare le scelte dovute.
Solo la mancanza di autentici statisti, di personalità politiche di alto livello ci fa trovare in questa situazione critica, quando potevamo - non dico starne fuori - ma stare già molto meglio.
Per non parlare della vaccinazione mondiale dove la paura di colpire i profitti delle multinazionali finanziarie che controllano le industrie farmaceutiche ha impedito che si costruisse un piano per il vaccino per tutti e ha lasciato il virus libero di diffondersi e produrre nuove varianti.
Difendere la vita delle persone e di tutto il genere umano deve essere il primo compito della politica. Quando questo viene meno vuol dire che prevalgono gli interessi dei più forti e dei più ricchi e che viviamo in un mondo profondamente ingiusto.
Avevamo detto finché c’è il virus c’è speranza di vendere vaccini a prezzi alti ai Paesi ricchi. E infatti subito le aziende farmaceutiche si dicono pronte a fare un nuovo vaccino per contrastare la variante sudafricana. Ma ciò che è peggio é che ci sono intellettuali e medici che già teorizzano che ogni anno ci si dovrà vaccinare e che l’immunità é irraggiungibile perché non si può fare una vaccinazione mondiale.
Una idea che - posso sbagliarmi - non ha alcun riscontro nei fatti, giacché ci sono esempi di malattie eradicate a livello mondiale proprio attraverso la vaccinazione.
Vaccinare quanto più possibile e nel più breve tempo possibile è dunque non solo un fatto etico ma anche egoistico per tutelare la salute nostra, di noi abitanti della parte ricca del mondo, ed evitare che ci siano nuovi lockdown che metterebbero un’altra volta le economie in ginocchio.
Ma vediamo cosa dice Enrico Bucci sul Foglio che non può certo essere definito un giornale sovversivo di sinistra:
La velocità con cui Sars-CoV-2 ci fa pagare le nostre scelte sbagliate – come quelle di non fornire abbastanza antivirali contro l’Hiv in Africa, così da avere un serbatoio di soggetti immunodepressi in cui Sars-CoV-2, ma anche qualunque altro virus, possono sperimentare una pressione immunitaria debole, ambiente ideale per sviluppare resistenza – quella velocità, dicevo, dipende dal fatto che ogni nuova variante può rapidissimamente raggiungere i quattro angoli del globo, grazie a globalizzazione e sovrappopolazione; e se il prossimo virus infettasse anche qualche animale domestico diffuso in miliardi di esemplari, come quelli che usiamo per cibarci o per compagnia, il reticolo di “autostrade veloci” per esso sarebbe ancora maggiore. Anche il nazionalismo sanitario, proprio come quello economico, in un mondo come questo si paga subito: vaccinarsi ad alti livelli, ignorando gli altri, e pensare di cavarsela chiudendo le frontiere, è pia illusione, perché si crea ancora una volta solo un gradiente ideale per l’evoluzione darwiniana dei patogeni – da una parte un serbatoio di soggetti suscettibili ove replicarsi ad alto tasso, e dall’altro una popolazione immunologicamente schermata, che esercita la pressione giusta per selezionare varianti più aggressive.
In queste condizioni, esattamente come per il cambiamento climatico, la risposta giusta non è né quella di pensare a un ritorno all’indietro – visto che il nostro sistema attuale è superiore rispetto al passato in quanto a garanzia di sopravvivenza per un mondo abitato da miliardi di individui – né quella di proseguire senza far nulla, pensando che comunque, siccome siamo ancora qui, in futuro continueremo a cavarcela. Il virus ci mostra che, di fronte a problemi globali, servono due tipi di cambiamenti: alcuni a livello individuale, altri a livello istituzionale e complessivo, proprio come nel caso del cambiamento climatico, il quale però ha il difetto di essere troppo lento per spingere gli individui ad agire davvero (mentre il virus ci pressa in maniera molto stringente nell’immediato).
[…]
Molto più difficile è immaginare come potremmo arrivare ai cambiamenti di sistema necessari per mantenere una migliore qualità di vita globale. Proprio come nel caso del clima, gli interessi nazionali, economici e politici sono un ostacolo al raggiungimento di una sorveglianza epidemiologica globale, di una produzione e di una logistica efficiente dei rimedi, ma soprattutto di una prevenzione delle prossime epidemie basata su comportamenti che diminuiscano i rischi a priori (pensate all’economia della raccolta di guano nelle caverne cinesi). Non esiste un governo mondiale e questo, per problemi globali, è un grande ostacolo; inoltre, la decisione democratica, attraverso l’accordo dei rappresentanti di miliardi di individui, è un processo lento e inefficiente, di fronte alla selezione darwiniana di un patogeno come un virus. Il cambiamento formidabile che qui si richiede è appunto questo: il sorgere di un’autorità mondiale in tema di patogeni, clima e altri problemi globali, la quale preservi le istituzioni democratiche. Come ricercatore in discipline biomediche, vedo il rischio e la scala del problema che abbiamo davanti; ma le competenze necessarie per pensare anche solo a come impostare una soluzione sono da cercare in aree diverse dalla mia e la volontà deve formarsi fra i cittadini e la politica, non certo nella sola comunità scientifica.
Sono completamente d’accordo con Bucci: un governo mondiale è ciò che dobbiamo esigere dalla politica e nulla di meno (Lezioni dalla pandemia: urge un governo mondiale per le crisi globali, di Enrico Bucci, Il Foglio, 1 dicembre 2021).
La lingua corretta non si decide in una commissione a Bruxelles
Il documento della UE sul linguaggio corretto che sconsiglia di augurare “Buon Natale” o di dire “Signore e signori” per non urtare orientamenti religiosi o sessuali è semplicemente una boiata pazzesca.
Pensare di cambiare il linguaggio con decreti o è autoritarismo o peggio è il segno di una ignoranza assoluta per la quale gli estensori di quel documento meriterebbero di essere licenziati.
Pare che la presidente von der Leyen abbia provveduto a farlo ritirare “perché non raggiunge gli standard qualitativi”.
Troppo poco: andava stigmatizzato.
Può essere interessante riguardo alla complessità della lingua, alla sua evoluzione, questo brano di Gramsci sul ruolo svolto da Dante nella costruzione della lingua italiana in rapporto alla lingua del popolo e alle vicende sociali e politiche.
Pare chiaro che il De Vulgari Eloquio di Dante sia da considerare come essenzialmente un atto di politica culturale-nazionale (nel senso che nazionale aveva in quel tempo e in Dante), come un aspetto della lotta politica è stata sempre quella che viene chiamata «la quistione della lingua» che da questo punto di vista diventa interessante studiare. Essa è stata una reazione degli intellettuali allo sfacelo dell’unità politica che esisté in Italia sotto il nome di «equilibrio degli Stati italiani», allo sfacelo e alla disintegrazione delle classi economiche e politiche che si erano venute formando dopo il Mille coi Comuni e rappresenta il tentativo, che in parte notevole può dirsi riuscito, di conservare e anzi di rafforzare un ceto intellettuale unitario, la cui esistenza doveva avere non piccolo significato nel Settecento e Ottocento (nel Risorgimento). Il libretto di Dante ha anch’esso non piccolo significato per il tempo in cui fu scritto; non solo di fatto, ma elevando il fatto a teoria, gli intellettuali italiani del periodo più rigoglioso dei Comuni, «rompono» col latino e giustificano il volgare, esaltandolo contro il «mandarinismo» latineggiante, nello stesso tempo in cui il volgare ha così grandi manifestazioni artistiche. Che il tentativo di Dante abbia avuto enorme importanza innovatrice, si vede più tardi col ritorno del latino a lingua delle persone colte (e qui può innestarsi la quistione del doppio aspetto dell’Umanesimo e del Rinascimento, che furono essenzialmente reazionari dal punto di vista nazionale-popolare e progressivi come espressione dello sviluppo culturale dei gruppi intellettuali italiani e europei).
Antonio Gramsci. Quaderno 29 (XXI). § (7)
Anche per Ferdinande de Saussure, il grande linguista svizzero, la lingua è un fatto sociale e umano che non può essere modificata certo per decreto.
Essa costituisce “un prodotto sociale della facoltà del linguaggio ed un insieme di convenzioni necessarie, adottate [da tutti] per consentire l’esercizio di questa facoltà negli individui”.
E ancora: “La lingua non è completa in nessun […] individuo, ma esiste perfettamente soltanto nella masse”. La lingua è “un tesoro depositato dalla pratica della parole in ciascuno degli individui di una stessa comunità”. “Occorre [sempre] una massa parlante perché vi sia una lingua. […]. In nessun momento [essa] esiste fuori dal fatto sociale”.
Corso di linguistica generale.
Insomma si può stare tranquilli non basta certo una deputata europea eletta a Malta, Helena Dalli, per cambiare la lingua.
Essa è un grande fatto democratico, frutto della comunicazione che si svolge nel popolo, del contributo di gruppi culturali e intellettuali, più o meno egemoni, dell’impatto che su di essa possono avere anche strumenti come i social.
Come ci informa Famiglia Cristiana, di Helena Dalli, la giornalista Daphne Caruana Galizia, uccisa il 16 ottobre del 2017 senza che finora sia stata fatta luce sui mandanti, aveva scritto che aveva messo i suoi due figli al libro paga del governo quando lei era ministra, definendola “una ministra dell’uguaglianza che pratica clientelismo e nepotismo”.
Tanto basti per dimenticare per sempre questa deputata laburista e le sue improvvide iniziative sulla lingua.
Un caro saluto,
Enrico
Le raccomandazioni ai funzionari della UE per la redazione di documenti di comunicazione istituzionale in lingua inglese non sono una boiata pazzesca e soprattutto non sono un decreto che cambia la lingua degli europei. Ci sono cose del tipo: “meglio usare first name invece di Christian name che può essere equivocato” . Il Giornale ne ha fatto un caso trasformando il fatto in una vera e propria fake news (tant’è vero che persino FB ha oscurato l’articolo). Forse non è il caso di perseverare nell’ingigantire qualcosa che semplicemente non c’è. Anche sul linciaggio dellla “deputata laburista di Malta” ( espressione che crea qualche problema e certifica che il linguaggio non è neutro) mi porrei qualche problema in più