In Italia manca una forza politica di sinistra, credibile e seria. E la responsabilità è del PD
Il rapporto del Censis descrive un Paese che teme la povertà. Un paese rassegnato, che non crede che possa realizzarsi veramente la ridistribuzione della ricchezza, la giustizia sociale e la pace.
Care amiche e cari amici,
la settimana che abbiamo alle spalle si chiude con il consueto rapporto annuale del Censis.
Il rapporto del centro di ricerca socio-economica italiano, uscito venerdì 2 dicembre, descrive un Paese in cui a una parte della popolazione che già vive in povertà, si aggiunge una parte ancora più gran grande e largamente maggioritaria che teme la povertà, che è spaventata dalle bollette, dall’aumento dell’inflazione, dalle prospettive incerte per il futuro.
Diventano quindi "socialmente insopportabili" le forbici economiche: il gap tra i salari dei manager e quelli dei dipendenti (odioso per l'87,8%), le buonuscite milionarie dei 'top' (86,6%) ma anche gli eccessi, i jet privati e le auto costose. L'81,5% non tollera gli "immeritati guadagni" degli influencer, personaggi "senza competenze certe".
Inoltre, il 61% degli italiani teme che possa scoppiare la Terza guerra mondiale, il 59% la bomba atomica, il 58% che l'Italia stessa entri in guerra.
È un paese deluso anche dal populismo.
Ma questo anziché generare una protesta che si indirizzi verso un cambiamento reale, al di là di brevi fiammate di contestazione, produce soprattutto un sentimento di malinconia e un distacco dalla politica che alle ultime elezioni ha fatto del partito dell’astensione la prima vera forza politica.
Dunque, in sintesi estrema, c’è un paese che soffre la povertà, che teme di arretrare in benessere sociale, che odia i privilegi esosi e che ha paura delle guerre.
Sarebbe, a mio avviso, un terreno favorevole alla crescita di una forza politica che vuole valorizzare il lavoro, che punta sull’eguaglianza e lotta per la pace.
Ma invece c’è un paese rassegnato, che non crede che possa realizzarsi veramente la ridistribuzione della ricchezza, la giustizia sociale e la pace.
La ragione è evidente: manca nel Paese una forza politica di sinistra, credibile e seria.
La responsabilità di questa situazione è tutta del PD.
Ecco perché da anni quel partito perde le elezioni e se non cambia continuerà a perderle.
La situazione politica però non è rimasta ferma.
Calenda apre ad un confronto con Meloni che, furba, decide di incontrarlo.
Insomma, il cosiddetto terzo polo ha deciso di iniziare un dialogo costruttivo con il governo di estrema destra e di dargli una mano.
Gli argomenti non mancano: dalla legge di bilancio, all’abuso d’ufficio e, vedrete, presto, ci sarà anche il presidenzialismo e, di conseguenza, l’autonomia differenziata.
Se si pensa che con Calenda, in campagna elettorale, il PD ha firmato un accordo con tanto di programma che sosteneva l’agenda Draghi, allora possiamo spiegarci buona parte del magro risultato delle elezioni.
Se a questo si aggiunge che non si è voluto procedere alla sostituzione di Letta, nominando un segretario o una segretaria di transizione, e che, anziché parlare di contenuti, il dibattito congressuale si caratterizza come uno scontro tra persone e correnti, allora possiamo capire anche il fatto che nei sondaggi il M5stelle superi ormai il PD e che Fratelli d’Italia avanzi addirittura oltre il 30 per cento.
In ogni caso, ci sono almeno tre cose che, a mio avviso, offrono al PD la possibilità di riprendere l’iniziativa se, anziché occuparsi di nomi, correnti e posizionamenti interni, si volesse mettere a fare politica:
l’elaborazione di una manovra alternativa a quella della destra, basata su una fiscalità davvero progressiva, sulla tassazione degli extra-profitti e quindi sulla redistribuzione della ricchezza a favore dei ceti più deboli e medio bassi, e a difesa dello stato sociale, della sanità e della scuola;
l’organizzazione della partecipazione alla manifestazione nazionale già indetta da Letta, costruendo un rapporto con tutte le forze politiche e sociali che si oppongono a questo governo per farne una grande manifestazione, non di un singolo partito ma unitaria;
la riapertura di un dialogo con il M5stelle per le elezioni nel Lazio e in Lombardia, dove Conte ha fatto una significativa apertura.
Se poi queste iniziative dovessero trovare la contrarietà interna al partito da parte di tanti post renziani, francamente non me ne farei un cruccio.
A me dispiace quando leggo che alcuni lasciano il partito per andare con Renzi, ma sono convinto che se il PD, per salvarsi, ritornerà ad essere una forza di sinistra non potranno non esserci movimenti in uscita dal partito così come ci saranno quelli in entrata.
Sarà comunque un chiarimento, anche doloroso ma necessario, che potrà dare slancio alla ricostruzione di un partito di sinistra, popolare, socialista e ambientalista, che manca nel nostro paese da tempo.
È certo invece che l’indeterminatezza, che ha caratterizzato questo periodo, ha finito per favorire l’iniziativa degli altri, di Renzi e di Conte.
Un caro saluto,
Enrico
100% d'accordo
Appare che anche tu ti senta rassegnato, e questo è davvero un grosso problema. Se anche c'è la tendenza a far diventare il congresso uno scontro tra nomi e tra correnti, chi vuole un nuovo strategico disegno di sinistra ne nostro paese deve partecipare con una forte presenza al processo di costruzione di un progetto politico basato su alcuni concetti centrali:
- lavoro
-salario minimo garantito
- uguaglianza/pari opportunità (uomo-donna in primis, portatori di disabilità - normodotati, cittadini italiani-immigrati, etc.)
- ridistribuzione della ricchezza