I fascisti eterni. E i riformisti senza storia
Giorgia Meloni nella conferenza stampa di fine anno, praticamente un monologo, non ha detto sostanzialmente nulla di nuovo, compresa l’impudicizia di difendere il neofascismo.
Care amiche e cari amici,
prima di tutto gli auguri di buon anno a tutti voi e ai vostri cari.
Molti ritengono che ci siano ottime ragioni per sperare che il 2023 sarà migliore del 2022, non fosse altro per il fatto che il nuovo anno non dovrà impegnarsi molto per risultare più gradevole; almeno sul piano delle cose pubbliche che ci riguardano come collettività.
Personalmente però non ne sarei tanto sicuro.
Mi spaventa la possibilità concreta di una guerra nucleare e l’aggravamento delle condizioni ambientali del pianeta. Se ci fosse su questi temi un’inversione, seppur minima, di marcia, l’inizio di un cambiamento reale, forse la nostra vita sarebbe già più serena.
Se poi insieme ad un scenario del mondo meno apocalittico, più ragionevole, ci venisse data la possibilità di fare parte di un grande movimento nazionale e internazionale che si batte per la libertà e per l’eguaglianza, non dico che avremmo trovato la felicità ma che magari potremmo soffrire meno quel sentimento di solitudine e di impotenza che a volte ci opprime.
Nessuno può dare ad altri la formula per la propria realizzazione nella vita privata ma a tutti è data la possibilità di risolvere insieme i problemi della collettività, di discutere e impegnarsi per dare il proprio contributo perché il mondo sia più giusto. Questo si chiama politica.
In fondo anche questa lettera, a suo modo, si pone questo obiettivo.
L’impegno che voglio assumere per l’anno nuovo è continuare a scrivervi queste mie riflessioni.
Voi siete straordinari ad aprire, ogni volta, in tanti (oltre 5.000), questi miei messaggi e, quando potete, a leggerli e a commentarli. Vi ringrazio per questo vostro gesto, convinto che tutti insieme con i nostri pensieri e le nostre discussioni proviamo a fare buona politica con passione e idealità.
Un saluto fraterno a tutte e tutti voi,
Enrico
La settimana è l’anno possono dirsi conclusi politicamente con l’approvazione della legge di bilancio e la conferenza tenuta dalla presidente del consiglio.
Giorgia Meloni nella conferenza stampa di fine anno, praticamente un monologo, non ha detto sostanzialmente nulla di nuovo, compresa l’impudicizia di difendere il neofascismo.
Colpisce però l’assoluta mancanza di preoccupazione per il sottofinanziamento della sanità, per l’estendersi delle povertà, per l’aumento dell’occupazione precaria, per l’esiguità del taglio del cuneo fiscale, per gli operai morti sul lavoro, per i migranti morti annegati, per lo scandalo dell’evasione fiscale.
Eppure nel Paese sta aumentando il disagio e la sofferenza sociale. L’indifferenza verso questa realtà sarà prima o poi motivo di crisi profonda del governo di destra.
Sbagliava chi credeva che questa maggioranza di destra, sarebbe caduta per ragioni esterne, di politica internazionale e di rapporti con la UE.
L’atlantismo e il rispetto dei conti hanno rassicurato gli USA e la Commissione Europa mentre i rischi sono ora legati soprattutto all’interno, alla crisi economica e sociale. Ma i tempi non sono affatto scontati.
Molto dipenderà dall’opposizione e dalla capacità di canalizzare la protesta, di unirsi e di avanzare una proposta alternativa per il Paese.
Il PD dovrebbe assegnarsi prioritariamente questo compito, dialogare con i sindacati e le forze sociali e confrontarsi in modo sempre più stringente con il M5stelle.
Purtroppo di questi nodi politici non si discute in questa fase congressuale del partito, evidentemente preoccupati delle conseguenze interne.
Ma il rimosso, come si sa, prima o poi riemerge e presenta il conto.
Non resta quindi che augurarsi che il nuovo segretario o la nuova segretaria appena eletti vogliano subito riprendere a fare politica e scelgano una chiara identità programmatica di sinistra per il partito, con la conseguente politica delle alleanze.
Quanto al nodo dell’identità politica e culturale del PD, la discussione sembra essersi arenata già prima di partire dopo le minacce di scissione venute da parte di esponenti del centro ex dc e post renziani.
Tuttavia, senza radici è difficile pensare di piantare un albero robusto che dura e cresce con il tempo e non si piega o si tronca alle prime tempeste.
A mio avviso, bisogna ripartire dalla storia e dalla cultura migliore della sinistra italiana, quella comunista, socialista e cattolico democratica.
Giorgia Meloni difende la storia aberrante degli eredi del fascismo alleato dei nazisti e celebra il razzista e fucilatore di partigiani Almirante.
Possibile che nel PD ci sia tanta timidezza dal ripartire con orgoglio dalle idee e dalla cultura politica di chi ha fatto la Resistenza, scritto la Costituzione, difeso la democrazia, ed è stato alla testa delle lotte sociali e civili?
Per questo cari candidati non basta più definirsi democratici.
Leggo su Avvenire, quotidiano di ispirazione cattolica, due prese di posizione forti contro la guerra e contro la legge di bilancio.
La prima dice “Tacciano le armi” e riferisce dell’appello del Papa per la pace in Ucraina e della sua denuncia drammatica delle condizioni dei bambini “divorati” dalla guerra.
La seconda è un’intervista a Conte che contesta la legge di bilancio come una manovra che “si accanisce contro i poveri, che accarezza gli evasori e i corrotti” e “ingrassa l’industria bellica”.
Il PD invece tace e di esso si riporta il dibattito interno, logorato da una discussione tutta incentrata sui candidati alla segreteria, minacciato da abbandoni e scissioni e in definitiva debole anche nel contrasto ai provvedimenti del governo.
A mio avviso il partito avrebbe dovuto non votare con la maggioranza un nuovo invio di armi in Ucraina e fare l’opposizione sulla legge di bilancio senza preoccuparsi dell’esercizio provvisorio, poiché la responsabilità dei ritardi è tutta e soltanto dei partiti di governo e perché la manovra contiene tali ingiustizie e aberrazioni che merita di combatterla con tutti i mezzi legittimi.
Abbiamo bisogno di un partito di lotta e non di un partito che continua a ragionare come se stesse ancora in un governo di unità nazionale.
La seconda carica dello Stato, il presidente del Senato, Ignazio Benito La Russa, ha celebrato su Instagram il 76esimo anniversario della nascita del Movimento Sociale Italiano, il partito fondato dai fascisti reduci della Repubblica Sociale Italiana, alleati con i nazisti.
Noi non abbiamo mai avuto remore a definire post fascisti i Fratelli d’Italia, cioè moderni eredi del fascismo, quindi non siamo affatto meravigliati per le esternazioni di La Russa e di altri esponenti di quel partito.
L’analisi fatta fin dall’inizio non era sbagliata; infatti, era giusto politicamente non legittimare quel partito e tenere alta nei suoi confronti la discriminante antifascista.
Non lo si è fatto e oggi si corre ai ripari chiedendo giustamente le dimissioni di La Russa. Anche se questo non avverrà.
Tenere alta la bandiera dell’antifascismo significa anche non accontentarsi della condanna delle leggi razziali del ‘38 della quale si fa vanto Giorgia Meloni, senza che essa giunga ad un giudizio definitivo sull’ideologia fascista e sul regime di Mussolini.
Il fatto è che la Repubblica democratica è caduta nelle mani degli eredi dei suoi nemici.
Le forze democratiche devono esserne consapevoli e non devono fare sconti a questo governo e a questa destra post fascista che ne è egemone.
Intanto, si potrebbe e si dovrebbe iniziare da domani a chiamare i Fratelli d’Italia proprio così: post fascisti, eredi del fascismo come in effetti sono.
Sarebbe un modo semplice per fare chiarezza di fronte alla grande maggioranza degli italiani, che sono antifascisti, smascherando la vera natura della destra estrema.
La pratica dell’antifascismo per essere efficace richiede coerenza ed un impegno quotidiano, senza cedimenti, ossessivo persino perché deve essere coltivata come una religione laica, un credo di libertà e di giustizia.
I valori dell’antifascismo non si fermano alla difesa delle istituzioni democratiche e dello stato di diritto ma, come recita la nostra Costituzione, si sostanziano anche nei diritti sociali, nell’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena realizzazione della persona.
Infatti, solo rimettendo al centro i valori costituzionali della libertà e dell’eguaglianza, l’antifascismo può tornare di attualità, convincere e mobilitare i ceti popolari delusi, produrre l’effetto di isolare i post fascisti in una condizione di minorità ideologica e politica.
Due esempi possono rendere più chiaro questo ragionamento: non si sarebbe dovuto votare con i post fascisti le mozioni sull’invio di armi all’Ucraina né si sarebbe dovuto fare sconti nel dibattito parlamentare di questi giorni contro una legge di bilancio aberrante e iniqua, usando con determinazione tutti gli strumenti legittimi concessi dai regolamenti.
Infine, non si possono non commentare due vicende di segno diverso ma entrambe significative della cultura che anima la destra al governo.
Claudio Lotito, fresco senatore di Forza Italia, già imprenditore edile e di pulizie, a Roma, con inizi negli appalti pubblici della prima Repubblica, padrone della Lazio e della Salernitana, pluriavvisato, plurindagato e pluriprocessato per il suo impegno di gran procacciatore di lavoro alle Procure e ai Tribunali, e ora anche membro della Commissione bilancio di Palazzo Madama, non poteva certo far passare la sua prima legge di bilancio da onorevole senza mostrare la propria sollecitudine e intervenire subito a favore delle gravi questioni che affliggono il Paese.
Così, Lotito ha pensato bene di fare cosa giusta proponendo l’emendamento che salva le società sportive di calcio dal fallimento con lo spalmare i loro debiti su cinque anni; ché poi tra cinque anni siamo sempre in tempo a ripensarci e a rimetterci le mani.
I suoi colleghi della destra, che si dice sociale e liberale - assai poco sociale con i poveri e molto liberale con i ricchi - hanno pensato bene di non contraddirlo e con solerzia hanno votato il provvedimento, senza chiedersi neppure se analogo trattamento venisse riservato ad altre imprese di altri settori che fossero anch’esse indebitate con lo Stato.
Questa equanime, disinteressata e lungimirante visione dell’interesse generale ha fatto mancare allo Stato, quest’anno, entrate per un totale di 890 milioni, che avrebbero potuto finanziare altri capitoli di spesa, come la sanità e la scuola per cui non si è stati in grado di trovare risorse sufficienti.
Ad esempio, è slittato al 2024 il finanziamento di 200 milioni per i pronto soccorso.
Così, se al pronto soccorso i cittadini non troveranno posto e il personale sarà stressato, potranno sempre consolarsi andando allo stadio a vedere una bella partita, non dimenticandosi di ringraziare Lotito e i senatori della destra che hanno avuto la sensibilità di pensare al loro divertimento, ovviamente a spese di tutti i cittadini italiani.
E la salute? I malati potranno attendere nelle liste d’attesa nei prossimi cinque anni, spalmando gli interventi e le cure urgenti su un intero lustro.
La sanità pubblica nel 2023 sarà al collasso, come sembrano sapere anche Calenda e Meloni che su questo argomento di scambiano pensierini e letterine, però, vuoi mettere una bella partita!
E poi, per chi ha i soldi, c’è sempre la sanità privata dove gli amici di Lotito potranno ingrassare i loro già lauti profitti.
Un nuovo decreto del governo contro le Ong che salvano in mare vite umane.
È un provvedimento che denota la natura perversa di chi non potendo colpire direttamente, perché ciò andrebbe contro la legislazione internazionale sull’obbligo dei salvataggi dei profughi, e non potendo disattendere i patti sottoscritti in Europa, cerca in modo subdolo di raggiungere i suoi obiettivi disumani.
D’ora in poi per ogni salvataggio si dovrà velocemente procedere verso un porto italiano indicato dalle autorità. Non si potrà fare più di un salvataggio alla volta.
Il Riformista si chiedeva oggi quanti morti farà questo provvedimento che al Viminale definiscono “di deterrenza”.
Al ministro Piantedosi, alla Lega e a Meloni il conto tornerà sempre: potranno dire di avere dato una stretta all’immigrazione e chi se ne frega se in mare moriranno più persone, donne e bambini inclusi.
“Me ne frego”, un vecchio slogan fascista evidentemente sempre vivo nella mente e nel cuore degli eredi post fascisti.
Grazie di cuore. Condivido tutto.