I compagni del Qatar
L'inchiesta di Bruxelles mette in luce lo smarrimento e la degenerazione politica e ideale della sinistra in Europa. Una vicenda che mina la credibilità del PD e della famiglia socialista.
Care amiche e cari amici,
sembra di essere tornati alle peggiori storie di Tangentopoli, al livello delle mazzette cucite dentro i cuscini, delle mogli che gestiscono il business frutto della corruzione, dei padri che tentano la fuga con il malloppo.
In questa vicenda delle mazzette qatariote c’è molto dell’eterno malcostume nazionale e mediterraneo, della cialtroneria della politica, intesa come arricchimento personale, e del familismo amorale.
Ma è una storia che ci parla anche dello smarrimento e della degenerazione politica e ideale della sinistra tutta Europa; infatti, l’aspetto più preoccupante è che la corruzione qatariota abbia funzionato, abbia avuto almeno in parte successo, condizionando i socialisti europei a scrivere documenti in cui si “apprezzano le riforme adottate” in Qatar, “che hanno già migliorato la vita dei lavoratori”, e in cui ci “si compiace del fatto che il governo rimborsi le vittime degli abusi salariali”.
Insomma, con il denaro, si è stati disposti a negare persino l’evidenza e a sostenere che il Qatar, se non proprio l’esempio di un “rinascimento arabo”, sia comunque una realtà positiva, incamminata sulla buona strada dei diritti umani e sociali, anche grazie ai mondiali di calcio.
Vengono da fare due brevi considerazioni.
Possibile che nessuno dei nostri deputati eletti in Parlamento europeo non si sia accorto di queste posizioni aberranti e non le abbia denunciate con forza davanti all’opinione pubblica? Mi riferisco innanzitutto ai membri della delegazione italiana che fa parte della famiglia socialista. Le persone che noi abbiamo eletto e i cui volti, proprio ora, si presentano e discettano su come ricostruire la sinistra italiana ci debbono una spiegazione, subito e quanto più possibile chiara; accompagnata dalle relative scuse e dalla autocritica sugli errori che nessuno può negare ci sono stati.
La vaghezza dell’analisi politica, il pragmatismo, la mancanza di categorie forti e di principi ideali cui ispirarsi sono all’origine della permeabilità dei fatti corruttivi dentro la politica, soprattutto a sinistra. Tutto si è piegato al trionfo del mercato, quindi del profitto, quindi dell’arricchimento individuale. Colui che difende una posizione di principio e cerca di essere con essa coerente o non capisce o, peggio, è un sovversivo da cui guardarsi.
Ma allora quali sono i valori occidentali, il tanto decantato stile di vita europeo, da quale pulpito possiamo dare lezioni di democrazia se si è disposti a farci comprare dai sacchi pieni di denaro, rinvenuti in casa della vicepresidente socialista del parlamento europeo?
Se la cosiddetta “famiglia socialista” al parlamento europeo, avesse evitato di piegarsi al mercatismo e alle sue conseguenze nefaste, avesse tenuto alto e fermo il valore universale della democrazia, dei diritti sociali e individuali, sarebbe dovuta insorgere subito contro l’ipotesi dei mondiali in Qatar.
Poi, se questa fosse stata comunque la decisione, avrebbe dovuto cogliere l’occasione per organizzare campagne di denuncia del carattere dittatoriale e aberrante del regime qatariota.
Invece, hanno prevalso i meschini interessi sulla lotta per la giustizia e per la libertà; fino alla vergogna di sindacalisti che si vendono e tradiscono i lavoratori per una manciata di soldi.
Infine: se gli esponenti nazionali e europei della Costituente del PD pensassero di affrontare questa vicenda vergognosa lavandosene le mani con qualche dichiarazione di circostanza e qualche doverosa e scontata espulsione, sbaglierebbero di grosso, perché con le mazzette qatariote la sinistra e il Pd in Italia scendono altri gradini della scala della credibilità e si avvicinano pericolosamente a toccare il fondo del barile.
Per ora, al posto di una forte reazione, si continua a vedere il solito gioco dei nomi e della conta di chi si schiera con chi, dando davvero uno spettacolo deludente.
Lo dico con la morte nel cuore e allo stesso tempo con la speranza che una svolta possa ancora realizzarsi.
La sinistra per risollevarsi deve attraversare il deserto dei suoi errori e delle sue defezioni.
Peppe Provenzano è il dirigente politico nazionale che, a mio avviso, è stato più all’altezza nel commentare il vergognoso scandalo delle tangenti qatariote e marocchine che colpiscono anche il PD.
Prima ha affermato con molta chiarezza che la “questione morale è attuale, che c’è sia a destra sia a sinistra, che non bastano le indagini, ma serve una reazione di istituzioni e politica, anche stringendo i controlli”.
Poi è andato al cuore della questione e ha parlato del finanziamento della politica e della forma partito.
Lasciamo riassumere questi pensieri di Provenzano a Mattia Feltri della Stampa, un giornalista indipendente.
Giuseppe Provenzano, intento a commentare le rovinose notizie di bustarelle in arrivo da Bruxelles, ha scelto di dire - uso parole sue - una cosa molto inattuale. E si è buttato a capofitto nell’elogio del funzionario di partito, specie in via d’estinzione causa indigenza. Di lì in poi, di cose molto inattuali Provenzano ne ha dette altre.
«Se negli anni passati un’intera classe dirigente non ha avuto le palle di opporsi al vento populista, se siamo stati noi ad abolire il finanziamento pubblico ai partiti, allora significa rinunciare al professionismo della politica. È un errore». E ha proposto una «battaglia controcorrente» per normare i partiti, le fondazioni, i finanziamenti, e cioè per ritornare a partiti solidi e strutturati. E finanziati. Erano anni che non si sentiva qualcosa di altrettanto serio.
Non so se si risolverebbe il problema della corruzione, poiché i partiti solidi e strutturati furono spazzati via proprio per la lagna suicida successiva a Mani pulite, ma so che, con partiti solidi, strutturati e finanziati, la vita di avventurieri e propagandisti da tastiera rivestiti da leader si farebbe più dura. So che con partiti abbienti, dotati di sedi, di professionisti, di strutture, di gerarchia, di scuola, si avrebbe qualche speranza di scendere dai ballatoi e ricominciare a fare politica. È nell’interesse di una democrazia recuperare risorse per il suo funzionamento, e il funzionamento della democrazia passa dai partiti. Troverei sommamente delizioso se, demoliti i partiti a causa di tangenti, sempre a causa di tangenti fossero ricostruiti. Ma è tutto troppo sensato: non se ne farà nulla.
Non ho da cambiare neppure una virgola a quello che ha scritto Feltri perché condivido tutto, fuorché il finale rinunciatario.
Infatti, ci sono due problemi politici.
Il primo è che si sta andando a fare un congresso dove ci si divide sui nomi, dove la domanda che circola di più è con chi stai, o peggio, con chi ti butti, mentre nessuno dei due candidati, né Bonaccini né Schlein, affrontano il tema della riforma del partito.
Si limitano ad invocare entrambi il superamento delle correnti come un mero auspicio, senza proporre quei cambiamenti organizzativi che renderebbero possibile un partito forte e radicato nella società, dove contano i militanti e non i notabili e le cordate che di volta in volta si formano.
Il secondo problema è che ad abolire il finanziamento pubblico ai partiti, a non sapersi opporre nel 2013 alla pressione populista del M5stelle e di Renzi, fu proprio l’allora premier Enrico Letta che di quella legge sciagurata se ne fece persino motivo di vanto.
È stato uno degli errori peggiori del PD distruggere la forma partito che è stata l’invenzione più rivoluzionaria del secolo scorso, lo strumento di organizzazione dei ceti popolari con cui essi hanno avuto accesso alla politica e hanno potuto far pesare le loro ragioni, anche quando erano in conflitto con quelle dei potenti.
Infine, non si creda che ai cittadini costerebbe di più finanziare i partiti.
La realtà è che oggi nelle istituzioni pubbliche si formano pletorici e costosissimi staff che servono a chi ricopre incarichi pubblici per fare politica a livello personale.
È la democrazia dei cacicchi che ormai non convince più nessuno.
In questo smarrimento, che forse non provo solo io, sono andato a rileggere l’intervista a Enrico Berlinguer passata alla storia come quella su “la questione morale”.
Il mondo da allora, era il 1981, è cambiato profondamente, eppure se non si riparte dalle idee espresse da Berlinguer e da un pensiero autenticamente di sinistra, sarà difficile ritrovare la bussola.
La lettura dell’intervista mostra anche la grande distanza di valori, principi e politiche che separa il PD dalle idee espresse da Berlinguer
Ma la presa di coscienza di questa realtà dolorosa anziché spingere alla rassegnazione può essere da stimolo per reagire.
Non credo infatti di essere solo nel pensare certe idee e provare certi sentimenti.
Intervista a Enrico Berlinguer, di Eugenio Scalfari
La Repubblica, 28 luglio 1981
La passione è finita?
Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...
Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.
È quello che io penso.
Per quale motivo?
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.
E secondo lei non corrisponde alla situazione?
Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.
La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.
Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.
In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.
Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da averne paura?
Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?
Veniamo alla seconda diversità.
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.
Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.
Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.
Non voi soltanto.
È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?
Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un'offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.
Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s'intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l'occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.
Dunque, siete un partito socialista serio...
…nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo...
Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?
No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c'è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.
Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c'è o no?
Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c'è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.
Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. È anche lei del medesimo parere?
Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è -se vogliamo- l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.
Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell' "austerità". Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito...
Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industializzati -di fronte all'aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all'avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la "civiltà dei consumi", con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell'austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.
E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?
Il costo del lavoro va anch'esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell'aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.
Per questa settimana è tutto.
Un caro saluto,
Enrico
Profetiche dichiarazioni di Berlinguer nel lontano 1981, disgraziatamente sono passati oltre 40 anni e il PCI ha nel 1991 rinnegato la sua storia marxista e poi è scivolato sempre più a difesa del capitalismo liberista andando a braccetto con Prodi e poi con Renzi e tutti gli ex democristiani, facendosi progressivamente fagocitare nel grande centro, per finire col sostenere il peggiore maggiordomo del liberismo atlantico, che nel 1991 aveva partecipato sul Britannia al Forum per sconfiggere ogni resistenza dei lavoratori contro lo sfruttamento padronale, fino ad allora rappresentata dal socialismo marxista, preferendo inventare un generico "Partito Democratico" all'americana...con i risultati che tutti/e i Compagni e Compagne difensori degli interessi dei lavoratori e dei ceti sociali deboli, che non hanno dimenticato il materialismo storico quale criterio di analisi e critica della situazione economica e politica realmente esistente, hanno davanti agli occhi a livello italiano ed europeo, asservito ai detentori del potere finanziario negli Stati Uniti e nei Paesi aderenti alla NATO, diventata il braccio armato del Pentagono in Europa e Medio Oriente.
Dearest Enrico, thinhs are just like you said. I'm very pessimist, because - sometimes - in the small or big city and some Regions with our governance things are not going better. So, iven if I don't know..., I suppose there will be a long time to become again a god left; and specific models they are the same and don't chenge with "the chainging of the time" (exactly as sing B. Dylan). Merry Christhmass to you and family! - luca